sabato 29 novembre 2008

5 tombe per un medium di Massimo Pupillo



Il giovane avvocato Albert Kovacs (Walter Brandi), apprendista del notaio Morgan (Riccardo Garrone), riceve una lettera dal Dottor Jeronimus Hauff, che lo convoca con urgenza nella sua sperduta villa per redigere il suo testamento. Giuntovi, Kovaks scopre con stupore che l'autore della missiva, nonostante il documento sembri autentico (calligrafia e sigillo di ceralacca paiono originali), è morto già da un anno. Clio (Barbara Steele), la vedova di Jeronimus, pensa che si tratti soltanto di un macabro scherzo. Ma Corinne, la sua figliastra, attribuisce il fenomeno ai poteri soprannaturali del padre, che in vita era un eminente studioso di occultismo, ed era riuscito ad evocare le anime dei morti di peste del '400, quando la villa era un lazzaretto. Una serie di morti violente, che colpiscono quanti assistettero al trapasso di Hauff, sembrano avvalorare la tesi della ragazza. Nel frattempo, Kovacs scopre che il suo principale Morgan, ex amante di Clio, uccise Jeronimus con la complicità di altre quattro persone, di cui egli conosceva i misfatti. La notte dell'anniversario della sua morte, alla villa arriva anche Morgan: le mostruose forze materializzate dal medium defunto compiono ora la sua vendetta, appestando colpevoli ed innocenti...
Liquidato frettolosamente dal "Mereghetti" come esempio di "sgangheratezza, noia e comicità involontaria" degne "del peggiore Ed Wood", "5 tombe per un medium", esordio di Massimo Pupillo nell'horror, è al contrario un piccolo capolavoro del gotico italiano. Targato 1965, il film, oltre all'elegante fotografia in bianco e nero di Carlo Di Palma, è sorprendentemente ricco di inquietanti invenzioni che anticipano molte pellicole del terrore successive. Anzitutto, la trovata del dittafono, che rimanda la voce spettrale del medium ucciso*, espediente ripreso da numerosi registi, sia nostrani che stranieri (basti pensare, per rimanere in Italia, alle angoscianti registrazioni del "pittore delle agonie" Buono Legnani ne "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati).
Per non parlare, poi, della resurrezione finale dei monatti, che diffondono la peste e cingono d'assedio, invisibili ma implacabili - raffinata e poco dispendiosa l'idea della soggettiva -, i pochi superstiti. È altresì ammirevole la lenta e inesorabile creazione della suspense mediante sobri artifici retorici quali la nebbia o i lugubri cigolii dei carri, piuttosto che attraverso un dispiego di dettagli sanguinolenti. C'è da dire, comunque, che gli effetti speciali del film sono, come vuole l'italica perizia artigianale, efficaci e a basso costo. Ad esempio, le mani mozzate degli untori, che nell'epilogo del film prendono a muoversi, sono quelle di alcune comparse che indossano guanti rosa con sopra del gesso. Il cuore che pulsa, invece, è quello di un maiale con dentro una pompetta acquistata alla Stazione Termini. Pupillo, però, non amava lo splatter, tant'è vero che della pellicola esistono due versioni, una più dura per il mercato americano e l'altra più soft per quello italiano. A girare le sequenze più cruente fu Ralph Zucker, produttore di questo e del successivo lavoro di Pupillo ("Il boia scarlatto"), che tra l'altro firmò la regia di "5 tombe per un medium" ingenerando non pochi malintesi (quando il produttore morì nel 1982, qualcuno scrisse che era morto Massimo Pupillo). Così spiegava il qui pro quo Pupillo: " '5 tombe per un medium' lo firmai col nome di Ralph Zucker, che era il produttore, un produttore di origine austriaca, così per fargli una cortesia, perché a me non importava figurare come regista. Perciò, quando è morto Zucker, è nato l'equivoco".
Se ci sono dei "capi d'imputazione" a carico del film, questi vanno semmai identificati nella scelta di Castel Fusano come location (troppi pini marittimi per una vicenda che si svolge in un immaginario villaggio dei Balcani!), e nello scarso utilizzo di Barbara Steele. Pare, tuttavia, che la "Scream-Queen" si atteggiasse a diva e facesse continue richieste. Oltre alla scena in cui è ricoperta di schiuma mentre si fa il bagno, la regina del gotico all'italiana girò anche un nudo, che però non fu mai inserito nel montaggio finale.

* "Jeronimus Hauff. Risultati delle ricerche del 20 ottobre. Anche oggi ho preso contatto con loro, ho saputo. La peste li decimava, il tanfo dei cadaveri ammorbava l'aria, continuamente i carri dei monatti portavano i cadaveri alle fosse comuni. I sopravvissuti, attaccati disperatamente alla vita, erano ossessionati dal cigolio di quei carri, il cigolio sinistro, penetrante. Ormai non c'era più speranza. Gli untori avevano inquinato le acque, gli immondi untori venivano puniti con il taglio di una mano e poi impiccati. Li seppellirono qui, nel giardino. L'acqua, l'acqua, tutta l'acqua era inquinata: occorreva dell'acqua, dell'acqua pura."

giovedì 27 novembre 2008

Dionysos, "questi sconosciuti"...





C'erano una volta quattro ragazzi che sognavano di diventare rockstar... Quante volte è iniziata in tal modo la storia di grandi band musicali. L'esperienza dei Dionysos, gruppo tuttora completamente sconosciuto qui in Italia, non è molto dissimile. Nel 1993, quattro giovanotti di Valenza, compagni di liceo, folgorati da un memorabile concerto dei Noir Désir, tentano di lasciarsi alle spalle la strada del pur divertente dilettantismo per dedicarsi anima e corpo alla loro passione. Mathias Malzieu (voce e chitarra), Éric Serra Tosio alias Rico (batteria), Michaël "Miky Biky" Ponton (chitarra) et Guillaume Garidel (basso), sembrano riuscirci senza troppi sforzi. All'epoca Mathias, leader del gruppo, sa suonare a malapena la chitarra e non ha mai cantato in pubblico. Eppure, fin dalle loro prime esibizioni in pubblico, i Dionysos s'impongono nel panorama del rock francese come qualcosa di completamente differente, e non soltanto per l'originalità delle liriche surreali di Mathias, ma anche per l'incredibile energia sprigionata dal vivo.
Tre anni di prove e una ventina di concerti più tardi, il gruppo dà alle stampe l'album di debutto, "Happening Songs": pubblicato in soli 500 esemplari dall'etichetta "Nova Express", il disco d'esordio contiene alcune canzoni rimaste a lungo nelle scalette dei concerti a venire, come "Can i?", "New eye blues", "Polar girl" e "Wet". E non si può certo dire che i Nostri si risparmino: tra un'esibizione e l'altra fanno uscire una videocassetta contenente sette videoclip e realizzano la colonna sonora di un telefilm.
Anche il 1997 è un anno ricco di impegni: firmato un contratto con il produttore Olivier Vallon, s'impegnano a promuovere "Happening Songs" con una fittissima serie di date. A loro, nel frattempo, si è aggiunta la dolce e brava Élisabeth Maistre, che suona con disinvoltura il violino, la chitarra e le tastiere. Il fascino della sua voce e le sue notevoli doti musicali faranno ben presto di Babet - questo il suo nome d'arte - una colonna portante del gruppo.
I Dionysos, che hanno ormai acquistato una certa notorietà anche in Belgio e Germania, vengono particolarmente apprezzati in Svizzera, dove si piazzano ai primi posti delle classifiche radiofoniche (l'emittente "Couleur 3" li diffonde con particolare assiduità). È in territorio elvetico, dunque, che nasce il secondo album della band: "The sun is blue like the eggs in winter" viene infatti prodotto dall'etichetta "Noise Product" di Ginevra nel febbraio 1998 e, tra le altre curiosità, annovera tra i suoi dieci pezzi i primi due cantati in francese, "Ciel en sauce" e "Fais pas ci" (quest'ultima è una cover riuscita di un brano di Jacques Dutronc). Con un'accresciuta visibilità mediatica, un'altra lunga sfilza di concerti, e la realizzazione dello "split single" "Soon, on your radio" (tra i cui brani figurano "Dead chips party" e "Calim héros"), i Dionysos vengono corteggiati da diverse case discografiche. La loro scelta cadrà sull'etichetta "Trema".
Sull'onda del successo i Dionysos mettono subito in cantiere un nuovo progetto: il loro nuovo lavoro, "Haïku", viene registrato in cinque settimane a San Francisco, sotto la supervisione di Norman Kener e Dan Presley. L'Haïku è un brevissimo componimento poetico giapponese formato solo da tre versi, una poesia dai toni semplici che elimina i fronzoli lessicali e le congiunzioni, e trae la sua forza dalle suggestioni della natura e le sue stagioni. Anche le liriche dei Dionysos, in questo caso, sono semplici e "immediate", tanto che qualche critico ha parlato di una scrittura automatica presa in prestito dai surrealisti. Al contrario dei primi due album, poi, i testi hanno un orientamento decisamente francofono. Il CD esce contemporaneamente in Francia, Svizzera e Belgio il 7 Settembre, e vende più di 30.000 copie. Dopo due passaggi televisivi seguiti da milioni di telespettatori, i Dionysos iniziano una colossale tournée che terminerà circa un anno e mezzo e 160 concerti più tardi. Questo dimostra anche che i Nostri sono veri e propri animali da palcoscenico e riescono ad instaurare un feeling del tutto particolare col pubblico. Sfortunatamente, in questo lungo arco di tempo, Mathias si rompe una gamba ed è costretto a rimanere seduto per molte delle rimanenti date. Il gesso, comunque, non gli impedisce di infiammare i suoi fan e di rendere unico ogni spettacolo.
Se Haïku è l'album che ha fatto conoscere i Dionysos presso il "popolo del rock", grazie a canzoni come "Coccinelle" e "45 tours", "Western sous la neige", con i suoi motivi estremamente orecchiabili (si pensi a "Song for jedi", "Anorak" e "Don diego 2000") li fa conoscere anche al grande pubblico, che ne decreta la consacrazione. Registrato a Chicago sotto l'egida del produttore Steve Albini (The Pixies, Nirvana e PJ Harvey), che lascia ampia libertà ai suoi pupilli d'oltreoceano, "Western sous la neige" vende oltre 100.000 copie ed ottiene il disco d'oro. L'album, poi, è più che mai segnato dai temi prediletti dei Dionysos: ci sono il western ("Theme from Western sous la neige") , il surf ("Longboard blues" e "Longboard train"), il tennis ("Mc enroe's poetry"), e un intero mondo fiabesco ("She is the liquid princess"). Un nuovo esaltante tour è la conferma che il titolo di "migliore live band francese" affibbiato ai Dionysos da diversi magazine specializzati è largamente meritato.
Inarrestabile, il gruppo partecipa anche all'album tributo a Léo Ferré "Avec Léo" con la cover di "Thank You Satan, e approda finalmente all'Olympia, il tempio parigino della musica. Nel frattempo, Mathias pubblica "38 mini-westerns (avec des fantômes)", una raccolta di novelle che rappresenta una sorta di propaggine dei testi delle sue canzoni.
Alla fine del 2003 escono due album live, uno acustico e l'altro elettrico, dal titolo "Whatever the weather", che, assieme ad un DVD registrato a Strasburgo, catturano i momenti salienti del tour "Western sous la neige".
Per elaborare il lutto della morte della madre, deceduta poco tempo dopo la registrazione di "Whatever the weather", Mathias accantona per qualche tempo la musica e si dedica alla scrittura di "Maintenant qu'il fait tout le temps nuit sur toi", un romanzo popolato da quegli stessi simpatici mostri che di lì a poco faranno la loro comparsa nell'universo musicale dei Dionysos. Il disco "Monsters in love", concepito parte in Marocco e parte in Inghilterra, vede la luce nel 2005. Inevitabilmente, questo è l'album più cupo e contrastato dei Dionysos: la perdita della madre da parte di Mathias ha senza dubbio influito su testi come "Mon ombre est personne", "Neige" o "Midnight letter". D'alro canto, il tema della morte è esorcizzato attraverso brani molto più lievi ed ameni come "Tes lacets sont des fées" e "La métamorphose de Mister Chat". Non bisogna inoltre dimenticare la presenza di Giant Jack, personaggio-chiave anche del succitato romanzo. L'ultima fatica della band è infine arricchita da nuove sonorità (ad esempio l'ukulele ed il "sanglophone", strumento immaginario che serve a riprodurre le grida di un fantasma). Intanto la formazione si è allargata con l'ingresso di Stéphan Bertholio (sintetizzatore, chitarra, banjo, ukulele, sega musicale, glockenspiel), che d'ora innanzi sarà il sesto membro ufficiale del gruppo (in realtà aveva collaborato coi Dionysos sin dal 2002).
Instancabili quando si tratta di esibirsi dal vivo, i Dionysos intraprendono una nuova tournée che li porta in Belgio, Svizzera, Germania e Lussemburgo, oltre che in vari Festival estivi. Ne saltan fuori un CD e un DVD live. Intitolati "Monster in live", esplicita eco di "Monster in love", i due prodotti appaiono sul mercato discografico nel gennaio del 2007: oltre a due concerti (uno registrato all'Olympia nel 2005, l'altro allo Zénith di Parigi nel 2006 con un'orchestra sinfonica), il DVD documenta alcuni dei momenti più significativi del gruppo dal Novembre del 2004 al Novembre del 2006 (le registrazioni effettuate in Marocco, quelle in Inghilterra ed in Alvernia, le prime date delle tournée, ecc.). Nel Novembre 2007 esce "La mécanique du cœur", il sesto album dei Dionysos, che si ispira all'omonimo romanzo che Mathias ha pubblicato alcuni giorni prima per l'editore Flammarion. Il libro, al pari delle canzoni, narra la storia di un bizzarro omino, Little Jack, nato a Edimburgo nel 1874 nel giorno più freddo del mondo. Il suo cuore è ghiacciato, ma la sua ostetrica, la Dottoressa Madeleine, lo rimpiazza con un orologio a cucù, che esploderà nel caso che il piccolo Jack s'innamori. Ahimè, Jack perde la testa per la cantante andalusa Miss Acacia ed il suo cuore prende a mal funzionare! La Dottoressa Madeleine lo ripara, ma ribadisce a Jack che non deve assolutamente innamorarsi... L'eroe della storia, che riprende alcuni personaggi di "Monster in love", è ovviamente interpretato da Mathias; la cantante andalusa, invece, da Olivia Ruiz, giovane vedette della musica transalpina. Ma l'album ospita anche tanti altri personaggi celebri del panorama artistico francese (si va da Alain Bashung a Jean Rochefort). Il sogno di Mathias di veder realizzato un film dal suo racconto si è concretizzato nel momento in cui l' "Europacorp" di Luc Besson ha acquistato i diritti del romanzo per ricavarne una pellicola d'animazione in 3D...

PERCHÉ ASCOLTARE I DIONYSOS? Perché è bello come vedere un gigante ed un omino dal cuore arrugginito che si stringono per mano, attraversano prima i boulevard parigini e poi gli aridi sentieri di uno spaghetti western diretto da Tim Burton, in cerca di una spiaggia innevata sulla quale fare surf...

Sito ufficiale: www.dionyweb.com
Sito non ufficiale: www.cielensauce.com

P.S. I testi in inglese andrebbero in maiuscolo, ma io mi sono attenuto alla "vulgata" dei Dionysos

domenica 23 novembre 2008

Harvey: non si cucina un coniglione...




HARVEY

Un film di Henry Koster. Con James Stewart, Peggy Dow, Josephine Hull.
Commedia, b/n, durata 104 min. - USA 1950.

Elwood P. Dowd (James Stewart) getta nello scompiglio la sua famiglia perché ha per amico un grosso coniglio bianco che nessuno vede oltre a lui. Preoccupata per le reazioni che le persone hanno quando racconta la storia di come lo ha conosciuto, e con la figlia rimasta zitella a causa dello strampalato ma affabile fratello, la sorella Veta Louise (Josephine Hull) decide di farlo rinchiudere in una clinica psichiatrica, ma a causa di una incredibile sequela di gaffe sarà lei stessa trattenuta e trattata per matta... (Wikipedia)

Domenico Meccoli, Michelangelo sbalordisce Jimmy, in Epoca n° 194, 20 Giugno 1954 (articolo su un viaggio in Italia dell'attore James Stewart):

"(...) Un'altra piacevole serata Stewart l'ha passata alla Radio. 'L'avevo temuta - dice - come un seccante impegno professionale che non si può disgraziatamente rifiutare. Invece mi sono divertito. E ho anche ricevuto un dono, inaspettato e graditissimo. Un giovane produttore italiano mi ha regalato un coniglio - vivo, naturalmente. Be', mi sono commosso. Forse ho interpretato film migliori di Harvey (non sta a me giudicare) ma io ho un debole per il coniglione fantomatico di quel film. Mi parve, in quell'occasione, di aver trovato un amico.' Ora questo coniglio regalatogli alla Radio è diventato, per Stewart, un problema serio. Non ha ancora deciso se farlo cucinare, regalarlo o portarlo in America. L'ultima soluzione lo tenta moltissimo, per i suoi figli. Ne ha quattro. 'Me li ha dati mia moglie in un solo anno' rivela ridendo. 'Mia moglie è un vero fenomeno!... Dimenticavo però di dire che Michael e Ronnie sono del suo primo matrimonio e che Judy e Kelly sono gemelli...' (...)"

Didascalia della foto:

"Appoggiato a questa targa stradale in vista del Colosseo, Jimmy ricorda stranamente la posa in cui gli appariva il coniglione Harvey nel film omonimo. Un produttore romano gli ha appunto donato un grosso coniglio che l'attore porterà ai figli."

lunedì 17 novembre 2008

Eva di Joseph Losey



Tyvian Jones (Stanley Baker), scrittore gallese che deve il suo successo ad un'opera largamente plagiata, vive a Venezia con la premurosa fidanzata Francesca (Virna Lisi), ma s'innamora di una squillo d'alto bordo, Eva (Jeanne Moreau). La donna, una femme fatale enigmatica, ribelle e sfuggente, fa perdere la testa all'uomo, sino a ridurlo ad uno stato di completa schiavitù. Tyvian la segue a Roma per lunghi periodi, dove ella risiede, e ne asseconda ogni capriccio (costosi week-end in alberghi di prima nella città lagunare, richieste di denaro, vizio del gioco), ma ciò che ne riceve in cambio sono soltanto cocenti delusioni. L'insondabile dark lady, dopo lunghe assenze, ricompare nella vita dello scrittore sempre con nuovi occasionali accompagnatori. Amareggiato, Tyvian sposa Francesca, pur non riuscendo a togliersi dalla testa Eva. Durante un'assenza della novellla sposa, infatti, trascorre una notte con la prostituta. La mattina seguente, Francesca li sorprende e, stravolta, fugge verso un tragico destino. Lo scrittore medita di uccidere Eva, ma non ne è capace, perché è troppo legato alla scellerata.
Tratto dall'omonimo romanzo di James Hadley Chase, "Eva" è un melodramma erotico a tinte forti sull'ambiguità del rapporto tra i sessi, nonché un'amara parabola sui giochi di potere all'interno dei legami di coppia, temi ricorrenti nei film del regista Joseph Losey. E tuttavia, nonostante lo splendido bianconero di Gianni Di Venanzo, che fotografa in maniera impeccabile una Venezia triste e struggente, la pellicola è anche una delle meno riuscite del cineasta statunitense. È vero che i produttori, per mezzo di tagli e censure, infierirono barbaramente sul film, tanto che ne circolano differenti versioni, eppure lo stile barocco e freddamente intellettuale allontanano irrimediabilmente lo spettatore, non consentendogli alcuna partecipazione emotiva. Inoltre, la messe di simboli - dall'acqua agli specchi, dalle maschere alle uova che colleziona Eva - è francamente urticante, al pari dei significati riposti e dei continui sottintesi. Insomma, la criptica allegoria del burattinaio (Eva) che tira i fili della sua marionetta (Tyvian) finisce presto per stancare. (Il Corbaccio)

Il film in lingua originale

sabato 15 novembre 2008

Nino Ferrer e Caterina Caselli, due rubacuori?







Due giorni fa ci siamo occupati de "Il re d'Inghilterra", canzone interpretata da Nino Ferrer al 18° Festival di Sanremo in coppia con Pilade, un partner che, secondo l'informatissimo sito "Hit Parade Italia", Ferrer non voleva assolutamente ma che, grazie all’organizzazione della manifestazione canora e soprattutto alle ingerenze di Celentano, gli fu bruscamente imposto. Ferrer tornò a Sanremo due anni più tardi, nel 1970, abbinato per l'occasione a Caterina Caselli. Sulla carta, sia la coppia che il brano, Re di cuori, erano vincenti, ma il pezzo si classificò soltanto al 14° posto, un vero e proprio flop. Per gli italiani, infatti, Ferrer era l'interprete di canzonette disimpegnate come "Agata" e "Donna Rosa". "Nessuno di noi è fatto in una sola maniera - ebbe modo di raccontare l'artista al 'Corriere della Sera' nel 1970 - e io odio le classificazioni. Anche nelle canzoni. Un giorno mi viene fuori 'Donna Rosa' e un altro 'La Rua Madureira', che è la mia preferita ma che purtroppo non ha fatto una lira, o 'Povero Cristo', che la radio sicuramente non trasmetterà e che quindi pochi sentiranno. Perché a me capita questo guaio: il pubblico di 'Donna Rosa' non mi vuole in un genere più impegnato e non lo chiede, e l'altro, che lo apprezzerebbe, non lo può conoscere". Il deludente Festival del 1970, comunque, non fu l'ultimo per Nino, che l'anno seguente ci riprovò di nuovo con "Amsterdam", in coppia con Rosanna Fratello... Ma questa è un'altra storia...

Chimo - Lila dice





Nel 1996, in Francia, era stato un caso letterario. L'autore del libro, con lo pseudonimo Chimo, aveva fatto recapitare il suo manoscritto all'editore "Plon" tramite un intermediario, che aveva strenuamente difeso l'anonimato del suo pupillo. Mondato dagli errori di ortografia e ritoccato nell'incerta punteggiatura, il libro, soprattutto in virtù del suo forte contenuto erotico, era ben presto divenuto un bestseller, suscitando l'ammirazione della critica e scatenando la caccia all'autore. Una caccia infruttuosa, visto che a tutt'oggi non si conosce la vera identità di Chimo (enfant prodige o scrittore navigato?). Adesso, sugli scaffali dei videonoleggi italiani, si può trovare il film che ne ha ricavato nel 2004 Ziad Doueiri, già operatore per Quentin Tarantino sul set di film quali "Le iene", "Pulp Fiction" e "Jackie Brown".
Il diciannovenne maghrebino Chimo, perditempo suo malgrado - abita in una squallida banlieu che non offre certo tante speranze, e dove i giovani si arrabattano tra strade sporche, squallidi bar e bordelli, non disdegnando tra l'altro qualche furtarello - incontra Lila, una lolita "tanto bionda da sembrare una macchia" in quel degradato sobborgo pieno di cemento. La ragazzina, troppo grande per essere bimba e troppo piccola per essere donna, è - per dirla come Chimo - "un angelo con la lingua da puttana". Si diverte infatti a fare, ma soprattutto a parlare di sesso, con la stessa trivialità di un camionista. Per Chimo, però, Lila è anche un irriverente e festante raggio di sole, che illumina il grigiore delle sue giornate senza capo né coda, e lo sprona inconsapevolmente a scrivere dei loro appuntamenti sui suoi quaderni (cosa che non rivela a nessuno, neppure a Lila). Gli espliciti inviti di Lila ad entrare nel suo privato immaginario sessuale - "Hai voglia di vedere la mia figa?", esordisce lei nelle prime pagine - rappresentano per Chimo un'occasione per scoprire le proprie potenzialità di scrittore, per lasciarsi alle spalle un mondo d'ignoranza che non gli appartiene più, per allontanarsi da un gruppo di amici zotici e scioperati. Sono, in definitiva, le chiavi per aprire la porta della banlieu e fuggirne una volta per sempre. Ad ogni modo, non bisogna trascurare la forte carica erotica del romanzo, per esaltare al contrario la scrittura come mezzo di redenzione o l'abilità dell'ignoto redattore nel descrivere la decadenza delle periferie urbane. "Lila dice" è e rimane una grande storia d'amore non consumata, fatta di piccoli giochi e grandi fantasie, ma entrambi di tipo esplicitamente sessuale, cosa che a Ziad Doueiri dev'essere sfuggita. Il regista epura bellamente numerosi passi bollenti, restituendoci una trasposizione del libro tristemente edulcorata. Siamo sempre alle solite: se non è associato a Thanatos, Eros non gode degli stessi quarti di nobiltà di altri argomenti ritenuti alti. (Il Corbaccio)

giovedì 13 novembre 2008

Nino Ferrer: richiesta, request, requête, petición



I'm looking for the spanish version of "Il re d'Inghilterra", "El rey de Inglaterra", and for the german version of "Le telephone", "Das telefon" (look above). Does anyone out there possess them? I would be very grateful. Thanks in advance. Merci d'avance. ¡Muchas gracias! Danken! :)

I quattro re d'Inghilterra



Tracklist

01) Nino Ferrer - Le roi d'Angleterre
02) Nino Ferrer - Il re d'Inghilterra
03) Pilade - Il re d'Inghilterra
04) Roll's 33 - Il re d'Inghilterra (Bonus Track)

P.S. Non sono affatto sicuro che la traccia 04 sia interpretata dai Roll's 33...

Link

mercoledì 12 novembre 2008

La lettera accusatrice ovvero il postino suona sempre TRE volte



George Jones (Barry Sullivan), costretto all'immobilità da gravi disturbi fisici e psichici, è convinto che la moglie Ellen (Loretta Young), premurosa donna di casa, lo tradisca con un medico suo ex innamorato. Jones è altresì persuaso che i due siano in combutta per avvelenarlo. Si risolve quindi a scrivere una lettera al procuratore distrettuale, nella quale accusa esplicitamente i due "fedifraghi" e svela il loro recondito intrigo. Dopo aver rivelato ad Ellen il contenuto della lettera, George prima la minaccia con una pistola e poi, non reggendo al forte stress, muore per un attacco cardiaco. La donna, angosciata ed impaurita, tenterà in ogni modo di rientrare in possesso della missiva già spedita... "Il talento di Tay Garnett, consacrato da film come 'Il postino suona sempre due volte' o 'La taverna dei sette peccati', trova terreno fertile in un thriller teso e claustrofobico, girato quasi in tempo reale, il cui perverso meccanismo rischia di stritolare una perfetta donna comune magistralmente resa da Loretta Young". (Il Corbaccio)

P.S. Se masticate piuttosto bene l'inglese, potete scaricare legalmente il film dai seguenti indirizzi (la pellicola è diventata di pubblico dominio):

64Kb MPEG4 (83 MB)
256Kb MPEG4 (191 MB)
MPEG1 (325 MB)

martedì 11 novembre 2008

Il mostro di Luigi Zampa + OST di Ennio Morricone




Valerio Barigozzi (Johnny Dorelli), giornalista fallito che sbarca il lunario curando "la piccola posta del cuore" di un quotidiano con lo pseudonimo "Contessa Esmeralda", un giorno riceve la lettera di un potenziale assassino che gli annuncia di voler ammazzare un attore televisivo. Sempre in cerca del "grande colpo all'americana", Barigozzi si reca al macabro appuntamento e scopre che il mostro ha mantenuto la sua delittuosa promessa. Altri omicidi si susseguono e Barigozzi, ormai divenuto interlocutore privilegiato dell'assassino, ne è sempre informato in anticipo. Questo strano filo rosso che lo lega al serial-killer lo rende sì ricco e famoso (i suoi vecchi libri gialli verranno ristampati, ma stavolta senza pseudonimo anglofono), ma gli procurano anche numerosi grattacapi con la polizia, che lo arresta e lo costringe a dimostrare la propria innocenza. Ma la trama gialla del film ha pure un preciso sottotesto: la parabola ascendente del Barigozzi, da oscuro redattore con scrivania a ridosso del cesso a editorialista di prim'ordine, è contaddistinta da un difficile rapporto con il timido e complessato figlio, che dapprima ha subìto la frustrazione e il livore paterni, per essere poi sostanzialmente accantonato dal genitore con il sopraggiungere della tanto agognata notorietà. Luigi Zampa, che negli anni del boom economico aveva giocosamente sferzato le italiche debolezze, qui si fa crudele e spietato, facendo del suo protagonista un campione di cinismo ed ipocrisia, un inguaribile opportunista che se ne frega del mondo e delle sue sventure, se non nella misura in cui possono tornargli utili. Il vero mostro, dunque. La sceneggiatura di Sergio Donati - siamo dalle parti di "L'asso nella manica" di Billy Wilder - è perfetta, e Johnny Dorelli, forse, alla miglior prova della sua carriera. Livido e disperato il finale. (Il Corbaccio)

P.S. La copertina del DVD è un obbrobrio.

Soundtrack

lunedì 10 novembre 2008

Bunny Lake è scomparsa OST + Bonus Tracks




Ann Lake (Carol Lynley), ragazza-madre da poco trasferitasi a Londra dagli States per raggiungere il fratello Stephen (Keir Dullea), al termine del primo giorno di scuola della figlioletta Bunny, si reca a prenderla, ma la bambina è scomparsa. Anzi, sembra quasi che non sia mai esistita. La direttrice dell'asilo, al pari degli altri ragazzini dell'istituto, non ricorda di aver mai visto la bimba, nel registro di classe manca il suo nome, e alla scuola non è mai arrivata la quota di iscrizione, malgrado Stephen mostri la matrice del suo assegno. Le indagini sulla sparizione di Bunny vengono allora affidate all'ispettore Newhouse (Laurence Oliver). Durante la sua inchiesta, questi si imbatte in una serie di personaggi enigmatici, strani e bizzarri: l'anziana signora Ada Ford (Martita Hunt), che vive al piano superiore della scuola e che registra con un magnetofono gli incubi dei bambini per trarne un libro; Horatio Wilson (Noël Coward in un ruolo autoironico), padrone di casa di Ann, masochista con una collezione di maschere africane, di fruste sadomaso, e un culto per il Marchese de Sade; ed infine l'arcigna e decisamente poco materna cuoca tedesca della scuola che, guardacaso, si licenzia proprio il giorno della scomparsa di Bunny. Ma allorché tutti i beni personali della piccola Bunny Lake vengono misteriosamente rubati, i sospetti di Newhouse e della polizia cadono anche sulla madre. Forti di un'incauta confidenza di Stephen (da piccola, Ann si era creata un'amichetta immaginaria di nome Bunny), le forze dell'ordine cominciano a credere che tutto sia frutto dell'immaginazione della donna.
Grazie all'impeccabile sceneggiatura di John e Penelope Mortimer (ma il romanzo di Evelyn Piper era già passato per le mani di Dalton Trumbo e per quelle di Ira Levin), e grazie soprattutto all'ottima caratterizzazione dei personaggi - su tutti quello dell'instabile ed irrequieto della Lynley - Otto Preminger non scioglie sino alla fine il clima di ambiguità su cui si regge la pellicola, ed instilla più di un dubbio anche negli spettatori sulla reale esistenza della bambina. "Bunny Lake è scomparsa" è un film piuttosto insolito, che mette a confronto mondi e personaggi completamente differenti (l'algida Inghilterra di Newhouse e la "nevrotica" America di Ann). La storia poi, in periodo di piena Swinging London (alla televisione cantano gli Zombies), sfrutta l'appeal di una Londra oscura e sinistra, immersa in un clima ancora tetramente vittoriano.
Si tratta di un noir atipico, con forti venature da thriller psicologico (non a caso il finale ricorda da vicino quello di "Psycho"). Per l'epoca, inoltre, affronta temi decisamente scabrosi (incesto, figli illegittimi e omosessualità).
Da menzionare i superbi titoli di testa di Saul Bass. (Il Corbaccio)

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domenica 9 novembre 2008

Ma come si può uccidere un bambino?







E se un giorno i bambini - da sempre i soggetti più vulnerabili alle guerre, ai massacri e alle carestie - decidessero di ribellarsi allo scellerato mondo degli adulti? Accadrà allora che le parti si invertano: alla follia distruttrice dei grandi subentrerà quella dei piccoli, tanto più violenta quanto meno gli adulti avranno il coraggio di alzare le mani sui ragazzi. Questa la premessa su cui poggia "Ma come si può uccidere un bambino?" dello spagnolo Narciso Ibáñez Serrador, un'ipotesi già collaudata dal cinema di fantascienza ne "Il villaggio dei dannati" di Wolf Rilla. Il film suppone che una giovane coppia di coniugi inglesi, Tom ed Evelyn, si rechino in vacanza ad Almanzora, un'isoletta immaginaria lontana poche miglia dalle coste iberiche. Qui appare chiaro sin dal primo momento che qualcosa non va: in giro non si trova un adulto a pagarlo oro, e frotte di ragazzini scorrazzano indisturbate per le strade con fare sospetto. I due sposi inglesi non tardano a scoprire che i "frugoletti" in pantaloni corti e gonnelline sono efferati assassini che, dopo aver allegramente trucidato i familiari (da brivido la rivisitazione del gioco della pentolaccia, col cadavere di un vecchio appeso a testa in giù), s'apprestano ad eliminare anche loro. La "covata malefica" - e in questo risiede la forza del film - si aggira furtiva per le stradine deserte e assolate del villaggio o si acquatta silenziosa nelle bianche casette tipiche della Spagna. Per creare suspense, come osservava acutamente Hitchcock, non occorrono grida improvvise o luoghi oscuri e tenebrosi (vedi "Intrigo internazionale"). Serrador ha imparato la lezione: gli bastano il trillo di un telefono, il lieve ondeggiare di una tenda, il sorriso ambiguo di una bimba. E il tutto sotto il Sole abbacinante del Mediterraneo. Dunque è doppiamente encomiabile la rinunzia al sensazionalismo e al grandguignol. Ottima la scelta degli interpreti Lewis Fiander e Prunella Ransome, sempre in parte. Unica nota stonata il prologo che, ricordando con immagini di repertorio i milioni di bambini uccisi dagli adulti durante i conflitti, tenta di giustificare la loro rivolta. Ma la morale è decisamente posticcia, tanto più che all'uscita del film Serrador scongiurò di non cercare metafore politiche nel film. (Il Corbaccio)

Links per il film in spagnolo

Link per la colonna sonora

sabato 8 novembre 2008

Il fantasma del palcoscenico OST



Swan (Paul Williams), discografico senza scrupoli che ha stretto un patto col diavolo e che vorrebbe inaugurare il suo nuovo fantasmagorico music-hall il "Paradiso" con un'opera d'impatto, deruba il talentuoso compositore Winslow Leach (William Finley) delle sue bellissime partiture ispirate al "Faust" di Goethe; quindi, grazie a degli sbirri prezzolati, lo fa arrestare per droga e rinchiudere nel penitenziario di "Sing-Sing". Ingannato ed umiliato, Leach riesce ad evadere in cerca di vendetta, ma rimane sfigurato da una pressa per dischi. Celatosi dietro ad una maschera, si aggira così per i meandri del "Paradiso", incombendo minaccioso sugli spettacoli allestiti con le sue canzoni stravolte. Swan lo scopre e gli propone un accordo: Winslow potrà finire la sua musica, e Swan, in cambio, affiderà un ruolo di primo piano a Phoenix, bella e brava cantante di cui Winslow è innamorato. Essendo stipulato col sangue però, l'accordo, più che mendace, si rivelerà fatale...
Visionario e barocco sino all'eccesso, imbevuto di citazioni colte ed ironiche (si veda la scena della doccia presa da Hitchcock), supportato da un cast affiatato, dalle ardite scenografie e dai colori sgargianti, il film è uno dei più freschi ed esuberanti di Brian De Palma, che ha saputo abilmente coniugare i momenti comici a quelli drammatici (ma non manca neppure una forte componente melò). Da menzionare la straordinaria colonna sonora di Paul Williams (l'attore che interpreta Swan), che in pratica ripropone tutta la musica leggera americana dagli anni '50 in poi (si va da "Goodbye, Eddie, Goodbye", un godibilissimo doo-wop a "Life at Last", un pezzo glam-rock in stile Alice Cooper, passando per "Upholstery", un "surf" degno dei migliori Beach Boys). (Il Corbaccio)

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Mani di bimba

martedì 4 novembre 2008

La ragazza che sapeva troppo di Mario Bava



Turista USA (L. Roman), a Roma è coinvolta in una serie di delitti con le vittime in ordine alfabetico che fanno capo alla casa di un'enigmatica signora Laura (V. Cortese). Inaugura il filone del thriller all'italiana (giallo a enigma + paura, con l'accento messo su suspense e ammazzamenti). La formula fu ripresa da Bava in "Sei donne per l'assassino" (1964) e portata al successo da Dario Argento in "L'uccello dalle piume di cristallo" (1970). Firmata da sei – tra cui M. De Concini e il regista – la sceneggiatura è scombinata e la suspense funziona soltanto all'interno delle singole sequenze. Apprezzabile, invece, come esercizio di regia anche perché la paura e il fantastico non nascono dal buio, dall'ombra, ma dalla luce in un suggestivo bianconero. Ultimo film di cui Bava cura anche la fotografia.
(Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli, Bologna, 2006)


Bava: il poliziesco senza la polizia

È significativo che il primo approccio di Bava al poliziesco sia stato “forzato”. Nel 1957, infatti, i produttori de "I vampiri" di Riccardo Freda, di cui l’eclettico regista ligure, non ancora passato dietro la mdp, curava la fotografia, temendo che il film fosse troppo audace per il pubblico del tempo (oggi è unanimemente considerato il primo horror italiano) e cercando di smorzarne la violenza, gli affidarono il compito di girare alcune ordinarie scene d’indagine ed uno scontato "happy ending" da inserire nel montaggio finale. Forse memore dell’esperienza, Bava, che di ogni genere frequentato nell’arco della sua carriera ha sempre aborrito le convezioni, quando diresse il suo primo thriller, l’hitchcockiano "La ragazza che sapeva troppo" (1962), si premurò subito di apportarvi delle sostanziali innovazioni. Anzitutto ambientò la fosca vicenda in una solare e turistica Roma, apparentemente inconciliabile con un intrigo giallo che a tratti assume persino dei toni soprannaturali. Le indagini che la giovane americana Nora Davis compie assieme al dottor Bassi dopo aver assistito ad un efferato omicidio compiuto sulla scalinata di Trinità dei Monti, la portano dunque a fare una sorta di moderno “Grand Tour” della città capitolina (si va dal Pincio alla spiaggia di Ostia, passando per il quartiere Coppedè, che in seguito sarà più volte sfruttato anche da Dario Argento). Bava arricchì poi il tradizionale schema del “whodunit” con l’introduzione di un doppio assassino (in questo caso il prof. Torrani, che uccide per coprire i delitti della moglie folle), espediente narrativo da lui stesso ripreso in "Sei donne per l’assassino" e successivamente copiato da Argento per "L’uccello dalle piume di cristallo". Infine, ma non meno importante, affidò il ruolo investigativo ai protagonisti invece che alla polizia. Sempre più disinteressato alla struttura narrativa e alla verosimiglianza dell’intreccio, nei suoi film seguenti Bava ridusse ulteriormente l’importanza delle forze dell’ordine. In "Sei donne per l’assassino", macabro giallo in cui gli atroci delitti sono filmati con uno stile visionario e barocco, Silvestri, ispettore di polizia tanto arrogante quanto incompetente, non solo non approda ad alcuna conclusione utile, ma ritarda addirittura la soluzione del caso fornendo inconsapevolmente un alibi all’assassino. In "Operazione paura" (1966), uno stupendo horror dove il piano della realtà e quello dell’incubo si mescolano di continuo creando un’atmosfera straniante (sono da antologia sia la sequenza in cui il protagonista insegue il suo doppio attraverso una serie di stanze uguali che le varie apparizioni della bambina-fantasma, figura alla quale si ispirò Fellini per "Toby Dammit", episodio di "Tre passi nel delirio"), tra le vittime delle morti misteriose che affliggono un tetro villaggio tedesco di fine Ottocento ci sono persino il commissario di polizia e il borgomastro. In "Diabolik" (1967), trasposizione in chiave pop del celebre fumetto delle sorelle Giussani, il nero eroe mascherato non si accontenta soltanto di mettere a segno i propri colpi e di sventare le trappole dell’ispettore Ginko, ma trova anche il tempo di beffarsi goliardicamente dell’ordine costituito sabotando una conferenza stampa del Ministro dell’Interno con del gas esilarante. Eccezione alla regola è costituita da "Il rosso segno della follia" (1969), in cui è proprio un’agente sotto copertura, Helen Wood, che pone fine agli omicidi dello psicopatico impotente John Harrington (ma si tratta più che altro di un espediente retorico, dato che la rivelazione della vera identità della donna rientra nel colpo di scena finale e che per tutto il resto del film la polizia brancola nel buio). Anche in "Cani arrabbiati" ("Semaforo rosso"), infine, Bava lavorò contro le più elementari regole del genere poliziesco: nel film (la cui durata corrisponde, pressappoco, alla durata della storia narrata), a parte lo scontro a fuoco e l’inseguimento iniziali, i rappresentanti della legge non compaiono nemmeno e lo spettatore, grazie ai continui primi piani e all’attenzione per i dettagli, si trova a stretto contatto con i protagonisti, un contatto sempre più spiacevole e claustrofobico, visto che “avviene” nell’angusto spazio di un’automobile rubata e condotta da delinquenti disposti a tutto, lontano dalla polizia... (Il Corbaccio)

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lunedì 3 novembre 2008

La sopravvissuta (The Undead) di Roger Corman



La sopravvissuta (The Undead, USA 1957) di Roger Corman. Con Pamela Duncan, Richard Garland, Allison Hayes, Val Dufour. 71' B/N.

Diana (Pamela Duncan), una prostituta, viene scelta dal giovane scienziato Quintus Ratcliff (Val Dufour) per un esperimento sensazionale: arrivare mediante ipnosi alla conoscenza della storia passata. Ipnotizzata da Quintus, Pamela si trova in catene in una prigione medievale per stregoneria. Riuscita a fuggire, si rifugia in una bara assieme a un morto per evitare un cavaliere, ma le cose si complicano sempre più... (Rudy Salvagnini, "Dizionario dei film HORROR", Corte del Fontego, Venezia, 2007)

Very rare (and very good) Roger Corman early entry into horror/fantasy genre. A prostitute, Diana, is transported by a couple of scientists into her past life - into Middle Ages. But there she is condemned as a witch who must be burned... It's a little campy and cheap but, by strange way, a very entertainment movie. And of course, there is a bunch of dancing zombie-girls! "One of Corman's best early films" (Leonard Maltin's Movie Guide)

FILM IN LINGUA ORIGINALE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO

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domenica 2 novembre 2008

Philippe Sarde/Roman Polanski: Tess & Le locataire Original Soundtracks



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AFFITTASI APPARTAMENTO

Palazzo tranquillo - Ammobiliato 2 stanze

Il precedente inquilino si è suicidato


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sabato 1 novembre 2008

Liar, Liar - The Best of The Castaways





Con la sua fulminante e sincopata introduzione d'organo, titillata da due semplicissimi pizzichi di chitarra elettrica, e seguìta a ruota da un favoloso ritornello in falsetto, "Liar, Liar" è una delle indiscusse regine del garage-rock statunitense degli anni '60. Fu incisa nel 1965 per conto dell'etichetta "Soma" e raggiunse velocemente il 12° posto nella classifica di Billboard. Io la conobbi nel lontano 1987, in un cinema vicino casa che ormai ha spento la lampada di proiezione da diversi anni. A presentarmela, sul piatto di un giradischi militare, fu l'irriverente DJ Adrian Cronauer/Robin Williams di "Good Morning Vietnam". Fu amore a primo udito, tant'è vero che mi fiondai sul 33 giri della colonna sonora come un agguerrito marine su un vietcong. Certo, nel film di Barry Levinson - regista dalla carriera incredibilmente discontinua - si ascoltavano anche i Searchers e gli Them, Martha Reeves e Wayne Fontana, senza contare James Brown e i Beach Boys... Ma "Liar, Liar" dei Castaways, assieme a Forest Whitaker, rappresentarono le mie due personali "scoperte" (Williams da Ork, al contrario, mi aveva già insegnato da parecchio il suo "nano-nano"). Quando fecero breccia nelle hit-parade, i Castaways si esibivano regolarmente già da tre anni, perlopiù in occasione delle feste dei college. Il gruppo, infatti, si era formato a Minneapolis nel 1962 attorno al nucleo Roy Hensley (chitarra), Dick Roby (basso) e Denny Craswell (batteria). Ma fu in seguito alla trasformazione in quintetto, con l'aggiunta di Bob Folschow (chitarra solista) e Jim Donna (voce, organo e piano, autore dei pezzi), che il gruppo conseguì il vero successo. Un successo mai più bissato, nonostante l'apparizione dei cinque ragazzi nel film "It's a bikini world" (1967). Una vera e propria meteora beat, che nonostante tutto continua la sua lenta combustione (la band si produce in "Class Reunion", "Private Party" e Convention varie). Nel 1999, dei Castaways è uscita un'antologia a cura della "Plum Records", intitolata "Liar, Liar - The Best of the Castaways" e di ormai difficile reperibilità. (Il Corbaccio)

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"Liar, Liar" lyrics

Chorus: Liar, liar, pants on fire
Your nose is longer than a telephone wire

Ask me, baby, why I'm sad
You've been out all night, know you've been bad
Don't tell me different, know it's a lie
Come kill me, honey, see how I cry

Why must you hurt me, do what you do
Listen here, girl, can't you see I love you
Make a little effort, try to be true
I'll be happy, not so blue

Chorus

If you keep on tellin' me those lies
Still goin' out with other guys
There'll come a day I'll be gone
Take my advice, won't be long

When that day comes, won't be mad
Be free of you, but I'll still be sad
In spite of your cheatin', still love you so
I'll be unhappy if I let you go

Chorus

Last Scene di Paul Verhoeven



"Last Scene" rappresenta l'11° episodio della terza stagione della serie TV americana "The Hitchhiker", nota in Italia col titolo "I viaggiatori delle tenebre". Andato in onda negli States il 25 marzo 1986, l'episodio è diretto da Paul Verhoeven, regista tra gli altri, di "Kitty Tippel", "Il quarto uomo", "Basic Instinct" ed il recente "Black Book". Il mediometraggio in questione narra la storia di un'attricetta così poco dotata che rischia di mandare a monte le riprese dello slasher-movie di cui è protagonista. Per rendere l'inetta all'altezza dell'ultima fondamentale scena, il regista della pellicola, interpretato da Peter Coyote ("Luna di fiele"), prima la seduce e poi la terrorizza facendole credere di essere realmente minacciata dal killer della finzione.

P.S. L'episodio è in inglese senza sottotitoli...

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Les Baxter - Cry Of The Banshee + The Edgar Allan Poe Suite



Cry Of The Banshee (Satana in corpo)

Un film di Gordon Hessler. Con Vincent Price, Hugh Griffith, Essy Persson, Elisabeth Bergner, Stephen Rea. Genere Horror, colore, 87 minuti. - Produzione Gran Bretagna 1970.

Nell'Inghilterra del XVI secolo un nobile, con l'aiuto del sanguinario figlio, perseguita le streghe, ma saranno le streghe a sterminare la famiglia. Un piccolo horror stregonesco con piccole perversioni erotiche e uno sviluppo narrativo inadeguato allo spunto di partenza. Vincent Price di elegante efficacia.

(Il Morandini, Zanichelli, Bologna, 2006).

Tracklist:

Side One
Cry Of The Banshee (Simphonic suite based on themes from the motion picture score)

Side Two

The Edgar Allan Poe Suite:
A. The Tell-Tale Heart
B. The Sphinx
C. The Cask of Amontillado
D. The Pit and the Pendulum

Composed and conducted by Les Baxter

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