mercoledì 12 dicembre 2007

Rockabilly Riot, Vol. 1: A Tribute To Sun Records


Una vecchia recensione del Corbaccio (Ottobre 2005) per un disco "evergreen"...

Negli anni ’80, con i suoi Stray Cats, Brian Setzer è stato il sacerdote indiscusso del rockabilly revival, rievocando lo spirito ribelle di Eddie Cochran e Gene Vincent, i primi rocker “maledetti”. Negli anni ’90, invece, il cantante e chitarrista newyorchese ha assemblato un’orchestra di ben 17 elementi, con l’ambizioso intento di rinverdire i fasti dello swing. Un’operazione riuscita, in cui tuttavia l’ex frontman dei “Cats” sembrava aver perso un po’ del suo piglio selvatico. Ma per fortuna, con l’inizio del nuovo millennio, Setzer è tornato all’amato rock dei primordi e alla classica formula chitarra-basso-batteria, sfornando due album di grande impatto, “Ignition” (2001) e “Nitro Burnin’ Funny Daddy” (2003), e dimostrando che un vero “gatto randagio” non può essere addomesticato. Ed è con una graffiante zampata felina che Setzer ha inciso i solchi di "Rockabilly Riot, Vol. 1", un doveroso tributo alla Sun Records di Sam Phillips, ovvero la leggendaria etichetta che più d’ogni altra contribuì alla diffusione del rock‘n’roll, e che tra i suoi artisti annoverò Elvis Presley, Carl Perkins, Jerry Lee Lewis e Johnny Cash. Non è la prima volta che Brian realizza un disco di sole cover: al 1993 risale infatti lo strepitoso “Original Cool”. In quell’occasione, però, i brani selezionati erano tutti inconfutabili classici. Invece, i 23 pezzi di quest’album – ad eccezione di “Get Rhythm”, “Blue Suede Shoes”, “Real Wild Child” e pochi altri – sono meno noti, in alcuni casi semisconosciuti come “Red Cadillac and a Black Moustache”, in altri addirittura inediti, come “Peroxide Blonde in a Hopped Up Model Ford” di Gene Simmons, il cui master era stato in parte cancellato. Nell’accostarsi al materiale, Setzer ha coniugato l’esuberante trasporto del fan alla perizia del filologo (si è avvalso della collaborazione dei Jordanaires, il mitico gruppo vocale di Elvis, ha usato strumenti rigorosamente “vintage”, ed ha persino ricreato il caratteristico sound infarcito di eco della Sun con una vecchia cisterna d’acqua). Il risultato è un disco “altamente infiammabile”, in cui spiccano i ritmi febbricitanti di “Red Hot” e “Flyin’ Saucer Rock and Roll” (entrambe del sottovalutato Billy Lee Riley), e lo scanzonato doo-wop di “Flatfoot Sam”. Felice dell’omaggio, il gallo di casa Sun è tornato a cantare. E voi che aspettate? Infilate le vostre scarpe scamosciate blu e buttatevi in pista! (M.G.)

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