Il giovane avvocato Albert Kovacs (Walter Brandi), apprendista del notaio Morgan (Riccardo Garrone), riceve una lettera dal Dottor Jeronimus Hauff, che lo convoca con urgenza nella sua sperduta villa per redigere il suo testamento. Giuntovi, Kovaks scopre con stupore che l'autore della missiva, nonostante il documento sembri autentico (calligrafia e sigillo di ceralacca paiono originali), è morto già da un anno. Clio (Barbara Steele), la vedova di Jeronimus, pensa che si tratti soltanto di un macabro scherzo. Ma Corinne, la sua figliastra, attribuisce il fenomeno ai poteri soprannaturali del padre, che in vita era un eminente studioso di occultismo, ed era riuscito ad evocare le anime dei morti di peste del '400, quando la villa era un lazzaretto. Una serie di morti violente, che colpiscono quanti assistettero al trapasso di Hauff, sembrano avvalorare la tesi della ragazza. Nel frattempo, Kovacs scopre che il suo principale Morgan, ex amante di Clio, uccise Jeronimus con la complicità di altre quattro persone, di cui egli conosceva i misfatti. La notte dell'anniversario della sua morte, alla villa arriva anche Morgan: le mostruose forze materializzate dal medium defunto compiono ora la sua vendetta, appestando colpevoli ed innocenti... Liquidato frettolosamente dal "Mereghetti" come esempio di "sgangheratezza, noia e comicità involontaria" degne "del peggiore Ed Wood", "5 tombe per un medium", esordio di Massimo Pupillo nell'horror, è al contrario un piccolo capolavoro del gotico italiano. Targato 1965, il film, oltre all'elegante fotografia in bianco e nero di Carlo Di Palma, è sorprendentemente ricco di inquietanti invenzioni che anticipano molte pellicole del terrore successive. Anzitutto, la trovata del dittafono, che rimanda la voce spettrale del medium ucciso*, espediente ripreso da numerosi registi, sia nostrani che stranieri (basti pensare, per rimanere in Italia, alle angoscianti registrazioni del "pittore delle agonie" Buono Legnani ne "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati). Per non parlare, poi, della resurrezione finale dei monatti, che diffondono la peste e cingono d'assedio, invisibili ma implacabili - raffinata e poco dispendiosa l'idea della soggettiva -, i pochi superstiti. È altresì ammirevole la lenta e inesorabile creazione della suspense mediante sobri artifici retorici quali la nebbia o i lugubri cigolii dei carri, piuttosto che attraverso un dispiego di dettagli sanguinolenti. C'è da dire, comunque, che gli effetti speciali del film sono, come vuole l'italica perizia artigianale, efficaci e a basso costo. Ad esempio, le mani mozzate degli untori, che nell'epilogo del film prendono a muoversi, sono quelle di alcune comparse che indossano guanti rosa con sopra del gesso. Il cuore che pulsa, invece, è quello di un maiale con dentro una pompetta acquistata alla Stazione Termini. Pupillo, però, non amava lo splatter, tant'è vero che della pellicola esistono due versioni, una più dura per il mercato americano e l'altra più soft per quello italiano. A girare le sequenze più cruente fu Ralph Zucker, produttore di questo e del successivo lavoro di Pupillo ("Il boia scarlatto"), che tra l'altro firmò la regia di "5 tombe per un medium" ingenerando non pochi malintesi (quando il produttore morì nel 1982, qualcuno scrisse che era morto Massimo Pupillo). Così spiegava il qui pro quo Pupillo: " '5 tombe per un medium' lo firmai col nome di Ralph Zucker, che era il produttore, un produttore di origine austriaca, così per fargli una cortesia, perché a me non importava figurare come regista. Perciò, quando è morto Zucker, è nato l'equivoco". Se ci sono dei "capi d'imputazione" a carico del film, questi vanno semmai identificati nella scelta di Castel Fusano come location (troppi pini marittimi per una vicenda che si svolge in un immaginario villaggio dei Balcani!), e nello scarso utilizzo di Barbara Steele. Pare, tuttavia, che la "Scream-Queen" si atteggiasse a diva e facesse continue richieste. Oltre alla scena in cui è ricoperta di schiuma mentre si fa il bagno, la regina del gotico all'italiana girò anche un nudo, che però non fu mai inserito nel montaggio finale.
* "Jeronimus Hauff. Risultati delle ricerche del 20 ottobre. Anche oggi ho preso contatto con loro, ho saputo. La peste li decimava, il tanfo dei cadaveri ammorbava l'aria, continuamente i carri dei monatti portavano i cadaveri alle fosse comuni. I sopravvissuti, attaccati disperatamente alla vita, erano ossessionati dal cigolio di quei carri, il cigolio sinistro, penetrante. Ormai non c'era più speranza. Gli untori avevano inquinato le acque, gli immondi untori venivano puniti con il taglio di una mano e poi impiccati. Li seppellirono qui, nel giardino. L'acqua, l'acqua, tutta l'acqua era inquinata: occorreva dell'acqua, dell'acqua pura."
C'erano una volta quattro ragazzi che sognavano di diventare rockstar... Quante volte è iniziata in tal modo la storia di grandi band musicali. L'esperienza dei Dionysos, gruppo tuttora completamente sconosciuto qui in Italia, non è molto dissimile. Nel 1993, quattro giovanotti di Valenza, compagni di liceo, folgorati da un memorabile concerto dei Noir Désir, tentano di lasciarsi alle spalle la strada del pur divertente dilettantismo per dedicarsi anima e corpo alla loro passione. Mathias Malzieu (voce e chitarra), Éric Serra Tosio alias Rico (batteria), Michaël "Miky Biky" Ponton (chitarra) et Guillaume Garidel (basso), sembrano riuscirci senza troppi sforzi. All'epoca Mathias, leader del gruppo, sa suonare a malapena la chitarra e non ha mai cantato in pubblico. Eppure, fin dalle loro prime esibizioni in pubblico, i Dionysos s'impongono nel panorama del rock francese come qualcosa di completamente differente, e non soltanto per l'originalità delle liriche surreali di Mathias, ma anche per l'incredibile energia sprigionata dal vivo. Tre anni di prove e una ventina di concerti più tardi, il gruppo dà alle stampe l'album di debutto, "Happening Songs": pubblicato in soli 500 esemplari dall'etichetta "Nova Express", il disco d'esordio contiene alcune canzoni rimaste a lungo nelle scalette dei concerti a venire, come "Can i?", "New eye blues", "Polar girl" e "Wet". E non si può certo dire che i Nostri si risparmino: tra un'esibizione e l'altra fanno uscire una videocassetta contenente sette videoclip e realizzano la colonna sonora di un telefilm. Anche il 1997 è un anno ricco di impegni: firmato un contratto con il produttore Olivier Vallon, s'impegnano a promuovere "Happening Songs" con una fittissima serie di date. A loro, nel frattempo, si è aggiunta la dolce e brava Élisabeth Maistre, che suona con disinvoltura il violino, la chitarra e le tastiere. Il fascino della sua voce e le sue notevoli doti musicali faranno ben presto di Babet - questo il suo nome d'arte - una colonna portante del gruppo. I Dionysos, che hanno ormai acquistato una certa notorietà anche in Belgio e Germania, vengono particolarmente apprezzati in Svizzera, dove si piazzano ai primi posti delle classifiche radiofoniche (l'emittente "Couleur 3" li diffonde con particolare assiduità). È in territorio elvetico, dunque, che nasce il secondo album della band: "The sun is blue like the eggs in winter" viene infatti prodotto dall'etichetta "Noise Product" di Ginevra nel febbraio 1998 e, tra le altre curiosità, annovera tra i suoi dieci pezzi i primi due cantati in francese, "Ciel en sauce" e "Fais pas ci" (quest'ultima è una cover riuscita di un brano di Jacques Dutronc). Con un'accresciuta visibilità mediatica, un'altra lunga sfilza di concerti, e la realizzazione dello "split single" "Soon, on your radio" (tra i cui brani figurano "Dead chips party" e "Calim héros"), i Dionysos vengono corteggiati da diverse case discografiche. La loro scelta cadrà sull'etichetta "Trema". Sull'onda del successo i Dionysos mettono subito in cantiere un nuovo progetto: il loro nuovo lavoro, "Haïku", viene registrato in cinque settimane a San Francisco, sotto la supervisione di Norman Kener e Dan Presley. L'Haïku è un brevissimo componimento poetico giapponese formato solo da tre versi, una poesia dai toni semplici che elimina i fronzoli lessicali e le congiunzioni, e trae la sua forza dalle suggestioni della natura e le sue stagioni. Anche le liriche dei Dionysos, in questo caso, sono semplici e "immediate", tanto che qualche critico ha parlato di una scrittura automatica presa in prestito dai surrealisti. Al contrario dei primi due album, poi, i testi hanno un orientamento decisamente francofono. Il CD esce contemporaneamente in Francia, Svizzera e Belgio il 7 Settembre, e vende più di 30.000 copie. Dopo due passaggi televisivi seguiti da milioni di telespettatori, i Dionysos iniziano una colossale tournée che terminerà circa un anno e mezzo e 160 concerti più tardi. Questo dimostra anche che i Nostri sono veri e propri animali da palcoscenico e riescono ad instaurare un feeling del tutto particolare col pubblico. Sfortunatamente, in questo lungo arco di tempo, Mathias si rompe una gamba ed è costretto a rimanere seduto per molte delle rimanenti date. Il gesso, comunque, non gli impedisce di infiammare i suoi fan e di rendere unico ogni spettacolo. Se Haïku è l'album che ha fatto conoscere i Dionysos presso il "popolo del rock", grazie a canzoni come "Coccinelle" e "45 tours", "Western sous la neige", con i suoi motivi estremamente orecchiabili (si pensi a "Song for jedi", "Anorak" e "Don diego 2000") li fa conoscere anche al grande pubblico, che ne decreta la consacrazione. Registrato a Chicago sotto l'egida del produttore Steve Albini (The Pixies, Nirvana e PJ Harvey), che lascia ampia libertà ai suoi pupilli d'oltreoceano, "Western sous la neige" vende oltre 100.000 copie ed ottiene il disco d'oro. L'album, poi, è più che mai segnato dai temi prediletti dei Dionysos: ci sono il western ("Theme from Western sous la neige") , il surf ("Longboard blues" e "Longboard train"), il tennis ("Mc enroe's poetry"), e un intero mondo fiabesco ("She is the liquid princess"). Un nuovo esaltante tour è la conferma che il titolo di "migliore live band francese" affibbiato ai Dionysos da diversi magazine specializzati è largamente meritato. Inarrestabile, il gruppo partecipa anche all'album tributo a Léo Ferré "Avec Léo" con la cover di "Thank You Satan, e approda finalmente all'Olympia, il tempio parigino della musica. Nel frattempo, Mathias pubblica "38 mini-westerns (avec des fantômes)", una raccolta di novelle che rappresenta una sorta di propaggine dei testi delle sue canzoni. Alla fine del 2003 escono due album live, uno acustico e l'altro elettrico, dal titolo "Whatever the weather", che, assieme ad un DVD registrato a Strasburgo, catturano i momenti salienti del tour "Western sous la neige". Per elaborare il lutto della morte della madre, deceduta poco tempo dopo la registrazione di "Whatever the weather", Mathias accantona per qualche tempo la musica e si dedica alla scrittura di "Maintenant qu'il fait tout le temps nuit sur toi", un romanzo popolato da quegli stessi simpatici mostri che di lì a poco faranno la loro comparsa nell'universo musicale dei Dionysos. Il disco "Monsters in love", concepito parte in Marocco e parte in Inghilterra, vede la luce nel 2005. Inevitabilmente, questo è l'album più cupo e contrastato dei Dionysos: la perdita della madre da parte di Mathias ha senza dubbio influito su testi come "Mon ombre est personne", "Neige" o "Midnight letter". D'alro canto, il tema della morte è esorcizzato attraverso brani molto più lievi ed ameni come "Tes lacets sont des fées" e "La métamorphose de Mister Chat". Non bisogna inoltre dimenticare la presenza di Giant Jack, personaggio-chiave anche del succitato romanzo. L'ultima fatica della band è infine arricchita da nuove sonorità (ad esempio l'ukulele ed il "sanglophone", strumento immaginario che serve a riprodurre le grida di un fantasma). Intanto la formazione si è allargata con l'ingresso di Stéphan Bertholio (sintetizzatore, chitarra, banjo, ukulele, sega musicale, glockenspiel), che d'ora innanzi sarà il sesto membro ufficiale del gruppo (in realtà aveva collaborato coi Dionysos sin dal 2002). Instancabili quando si tratta di esibirsi dal vivo, i Dionysos intraprendono una nuova tournée che li porta in Belgio, Svizzera, Germania e Lussemburgo, oltre che in vari Festival estivi. Ne saltan fuori un CD e un DVD live. Intitolati "Monster in live", esplicita eco di "Monster in love", i due prodotti appaiono sul mercato discografico nel gennaio del 2007: oltre a due concerti (uno registrato all'Olympia nel 2005, l'altro allo Zénith di Parigi nel 2006 con un'orchestra sinfonica), il DVD documenta alcuni dei momenti più significativi del gruppo dal Novembre del 2004 al Novembre del 2006 (le registrazioni effettuate in Marocco, quelle in Inghilterra ed in Alvernia, le prime date delle tournée, ecc.). Nel Novembre 2007 esce "La mécanique du cœur", il sesto album dei Dionysos, che si ispira all'omonimo romanzo che Mathias ha pubblicato alcuni giorni prima per l'editore Flammarion. Il libro, al pari delle canzoni, narra la storia di un bizzarro omino, Little Jack, nato a Edimburgo nel 1874 nel giorno più freddo del mondo. Il suo cuore è ghiacciato, ma la sua ostetrica, la Dottoressa Madeleine, lo rimpiazza con un orologio a cucù, che esploderà nel caso che il piccolo Jack s'innamori. Ahimè, Jack perde la testa per la cantante andalusa Miss Acacia ed il suo cuore prende a mal funzionare! La Dottoressa Madeleine lo ripara, ma ribadisce a Jack che non deve assolutamente innamorarsi... L'eroe della storia, che riprende alcuni personaggi di "Monster in love", è ovviamente interpretato da Mathias; la cantante andalusa, invece, da Olivia Ruiz, giovane vedette della musica transalpina. Ma l'album ospita anche tanti altri personaggi celebri del panorama artistico francese (si va da Alain Bashung a Jean Rochefort). Il sogno di Mathias di veder realizzato un film dal suo racconto si è concretizzato nel momento in cui l' "Europacorp" di Luc Besson ha acquistato i diritti del romanzo per ricavarne una pellicola d'animazione in 3D...
PERCHÉ ASCOLTARE I DIONYSOS? Perché è bello come vedere un gigante ed un omino dal cuore arrugginito che si stringono per mano, attraversano prima i boulevard parigini e poi gli aridi sentieri di uno spaghetti western diretto da Tim Burton, in cerca di una spiaggia innevata sulla quale fare surf...
Un film di Henry Koster. Con James Stewart, Peggy Dow, Josephine Hull. Commedia, b/n, durata 104 min. - USA 1950.
Elwood P. Dowd (James Stewart) getta nello scompiglio la sua famiglia perché ha per amico un grosso coniglio bianco che nessuno vede oltre a lui. Preoccupata per le reazioni che le persone hanno quando racconta la storia di come lo ha conosciuto, e con la figlia rimasta zitella a causa dello strampalato ma affabile fratello, la sorella Veta Louise (Josephine Hull) decide di farlo rinchiudere in una clinica psichiatrica, ma a causa di una incredibile sequela di gaffe sarà lei stessa trattenuta e trattata per matta... (Wikipedia)
Domenico Meccoli, Michelangelo sbalordisce Jimmy, in Epoca n° 194, 20 Giugno 1954 (articolo su un viaggio in Italia dell'attore James Stewart):
"(...) Un'altra piacevole serata Stewart l'ha passata alla Radio. 'L'avevo temuta - dice - come un seccante impegno professionale che non si può disgraziatamente rifiutare. Invece mi sono divertito. E ho anche ricevuto un dono, inaspettato e graditissimo. Un giovane produttore italiano mi ha regalato un coniglio - vivo, naturalmente. Be', mi sono commosso. Forse ho interpretato film migliori di Harvey (non sta a me giudicare) ma io ho un debole per il coniglione fantomatico di quel film. Mi parve, in quell'occasione, di aver trovato un amico.' Ora questo coniglio regalatogli alla Radio è diventato, per Stewart, un problema serio. Non ha ancora deciso se farlo cucinare, regalarlo o portarlo in America. L'ultima soluzione lo tenta moltissimo, per i suoi figli. Ne ha quattro. 'Me li ha dati mia moglie in un solo anno' rivela ridendo. 'Mia moglie è un vero fenomeno!... Dimenticavo però di dire che Michael e Ronnie sono del suo primo matrimonio e che Judy e Kelly sono gemelli...' (...)"
Didascalia della foto:
"Appoggiato a questa targa stradale in vista del Colosseo, Jimmy ricorda stranamente la posa in cui gli appariva il coniglione Harvey nel film omonimo. Un produttore romano gli ha appunto donato un grosso coniglio che l'attore porterà ai figli."
Tyvian Jones (Stanley Baker), scrittore gallese che deve il suo successo ad un'opera largamente plagiata, vive a Venezia con la premurosa fidanzata Francesca (Virna Lisi), ma s'innamora di una squillo d'alto bordo, Eva (Jeanne Moreau). La donna, una femme fatale enigmatica, ribelle e sfuggente, fa perdere la testa all'uomo, sino a ridurlo ad uno stato di completa schiavitù. Tyvian la segue a Roma per lunghi periodi, dove ella risiede, e ne asseconda ogni capriccio (costosi week-end in alberghi di prima nella città lagunare, richieste di denaro, vizio del gioco), ma ciò che ne riceve in cambio sono soltanto cocenti delusioni. L'insondabile dark lady, dopo lunghe assenze, ricompare nella vita dello scrittore sempre con nuovi occasionali accompagnatori. Amareggiato, Tyvian sposa Francesca, pur non riuscendo a togliersi dalla testa Eva. Durante un'assenza della novellla sposa, infatti, trascorre una notte con la prostituta. La mattina seguente, Francesca li sorprende e, stravolta, fugge verso un tragico destino. Lo scrittore medita di uccidere Eva, ma non ne è capace, perché è troppo legato alla scellerata. Tratto dall'omonimo romanzo di James Hadley Chase, "Eva" è un melodramma erotico a tinte forti sull'ambiguità del rapporto tra i sessi, nonché un'amara parabola sui giochi di potere all'interno dei legami di coppia, temi ricorrenti nei film del regista Joseph Losey. E tuttavia, nonostante lo splendido bianconero di Gianni Di Venanzo, che fotografa in maniera impeccabile una Venezia triste e struggente, la pellicola è anche una delle meno riuscite del cineasta statunitense. È vero che i produttori, per mezzo di tagli e censure, infierirono barbaramente sul film, tanto che ne circolano differenti versioni, eppure lo stile barocco e freddamente intellettuale allontanano irrimediabilmente lo spettatore, non consentendogli alcuna partecipazione emotiva. Inoltre, la messe di simboli - dall'acqua agli specchi, dalle maschere alle uova che colleziona Eva - è francamente urticante, al pari dei significati riposti e dei continui sottintesi. Insomma, la criptica allegoria del burattinaio (Eva) che tira i fili della sua marionetta (Tyvian) finisce presto per stancare. (Il Corbaccio)
Due giorni fa ci siamo occupati de "Il re d'Inghilterra", canzone interpretata da Nino Ferrer al 18° Festival di Sanremo in coppia con Pilade, un partner che, secondo l'informatissimo sito "Hit Parade Italia", Ferrer non voleva assolutamente ma che, grazie all’organizzazione della manifestazione canora e soprattutto alle ingerenze di Celentano, gli fu bruscamente imposto. Ferrer tornò a Sanremo due anni più tardi, nel 1970, abbinato per l'occasione a Caterina Caselli. Sulla carta, sia la coppia che il brano, Re di cuori, erano vincenti, ma il pezzo si classificò soltanto al 14° posto, un vero e proprio flop. Per gli italiani, infatti, Ferrer era l'interprete di canzonette disimpegnate come "Agata" e "Donna Rosa". "Nessuno di noi è fatto in una sola maniera - ebbe modo di raccontare l'artista al 'Corriere della Sera' nel 1970 - e io odio le classificazioni. Anche nelle canzoni. Un giorno mi viene fuori 'Donna Rosa' e un altro 'La Rua Madureira', che è la mia preferita ma che purtroppo non ha fatto una lira, o 'Povero Cristo', che la radio sicuramente non trasmetterà e che quindi pochi sentiranno. Perché a me capita questo guaio: il pubblico di 'Donna Rosa' non mi vuole in un genere più impegnato e non lo chiede, e l'altro, che lo apprezzerebbe, non lo può conoscere". Il deludente Festival del 1970, comunque, non fu l'ultimo per Nino, che l'anno seguente ci riprovò di nuovo con "Amsterdam", in coppia con Rosanna Fratello... Ma questa è un'altra storia...
Nel 1996, in Francia, era stato un caso letterario. L'autore del libro, con lo pseudonimo Chimo, aveva fatto recapitare il suo manoscritto all'editore "Plon" tramite un intermediario, che aveva strenuamente difeso l'anonimato del suo pupillo. Mondato dagli errori di ortografia e ritoccato nell'incerta punteggiatura, il libro, soprattutto in virtù del suo forte contenuto erotico, era ben presto divenuto un bestseller, suscitando l'ammirazione della critica e scatenando la caccia all'autore. Una caccia infruttuosa, visto che a tutt'oggi non si conosce la vera identità di Chimo (enfant prodige o scrittore navigato?). Adesso, sugli scaffali dei videonoleggi italiani, si può trovare il film che ne ha ricavato nel 2004 Ziad Doueiri, già operatore per Quentin Tarantino sul set di film quali "Le iene", "Pulp Fiction" e "Jackie Brown". Il diciannovenne maghrebino Chimo, perditempo suo malgrado - abita in una squallida banlieu che non offre certo tante speranze, e dove i giovani si arrabattano tra strade sporche, squallidi bar e bordelli, non disdegnando tra l'altro qualche furtarello - incontra Lila, una lolita "tanto bionda da sembrare una macchia" in quel degradato sobborgo pieno di cemento. La ragazzina, troppo grande per essere bimba e troppo piccola per essere donna, è - per dirla come Chimo - "un angelo con la lingua da puttana". Si diverte infatti a fare, ma soprattutto a parlare di sesso, con la stessa trivialità di un camionista. Per Chimo, però, Lila è anche un irriverente e festante raggio di sole, che illumina il grigiore delle sue giornate senza capo né coda, e lo sprona inconsapevolmente a scrivere dei loro appuntamenti sui suoi quaderni (cosa che non rivela a nessuno, neppure a Lila). Gli espliciti inviti di Lila ad entrare nel suo privato immaginario sessuale - "Hai voglia di vedere la mia figa?", esordisce lei nelle prime pagine - rappresentano per Chimo un'occasione per scoprire le proprie potenzialità di scrittore, per lasciarsi alle spalle un mondo d'ignoranza che non gli appartiene più, per allontanarsi da un gruppo di amici zotici e scioperati. Sono, in definitiva, le chiavi per aprire la porta della banlieu e fuggirne una volta per sempre. Ad ogni modo, non bisogna trascurare la forte carica erotica del romanzo, per esaltare al contrario la scrittura come mezzo di redenzione o l'abilità dell'ignoto redattore nel descrivere la decadenza delle periferie urbane. "Lila dice" è e rimane una grande storia d'amore non consumata, fatta di piccoli giochi e grandi fantasie, ma entrambi di tipo esplicitamente sessuale, cosa che a Ziad Doueiri dev'essere sfuggita. Il regista epura bellamente numerosi passi bollenti, restituendoci una trasposizione del libro tristemente edulcorata. Siamo sempre alle solite: se non è associato a Thanatos, Eros non gode degli stessi quarti di nobiltà di altri argomenti ritenuti alti. (Il Corbaccio)
I'm looking for the spanish version of "Il re d'Inghilterra", "El rey de Inglaterra", and for the german version of "Le telephone", "Das telefon" (look above). Does anyone out there possess them? I would be very grateful. Thanks in advance. Merci d'avance. ¡Muchas gracias! Danken! :)
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March 12, 2012
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