giovedì 24 aprile 2008

MAIGRET E UNA VITA IN GIOCO (La tête d'un homme)




In queste ultime settimane ho avuto poco tempo da dedicare a me stesso, e di conseguenza al blog. L'ultimo post risale addirittura al 6 aprile. Grazie al cielo, a dare un po' di conforto e sollievo alla fatica delle quotidiane incombenze, hanno contribuito non poco la lettura notturna di qualche buona pagina di letteratura o la visione, anche se frammentata e a più riprese, di ottime serie televisive gialle. Ormai esaurite, ahimè, le 41 puntate dedicate a Sherlock Holmes dalla "Granada Television" tra il 1984 e il 1994, con l'immenso Jeremy Brett nel ruolo del detective londinese, dalle rive del Tamigi mi sono trasferito su quelle della Senna, ripescando con somma gioia dalla mia videoteca alcune delle "vecchie" e celebri "Inchieste del Commissario Maigret" interpretate da Gino Cervi. Gli episodi che mancavano all'appello li sto via via acquistando in digitale. Su quelli che avevo già visto anni or sono, invece, è balenata giocoforza una luce assolutamente nuova ed inedita, complice anche la lettura dei racconti e dei romanzi da cui furono tratte. E poi si sa, un amante del giallo, alla stregua dell'assassino, prima o poi torna sul luogo del delitto ma, a differenza del colpevole, può permettersi il lusso di farlo con calma e piacere...
Il primo episodio che mi permetto di consigliare è senza dubbio "Una vita in gioco", tratto dal romanzo di Georges Simenon "La tête d'un homme" (1931), e trasmesso dalla RAI per la prima volta in tre puntate nel febbraio del 1965. Fino ad allora, il libro di Maigret era stato adattato per il grande schermo due volte, la prima nel 1932 per mano di Julien Duvivier ("Il delitto della villa") - a distanza, dunque, di un solo anno dalla pubblicazione del romanzo - e la seconda nel 1950 ad opera di Burgess Meredith (il Pinguino di "Batman" e l'allenatore di Rocky Balboa, tanto per intenderci) col titolo "L'uomo della torre Eiffel" ("The Man on the Eiffel Tower"), ma in entrambi i casi con esiti piuttosto deludenti, in special modo per quanto concerne la pellicola statunitense. E qui mi permetto di aprire una brevissima parentesi. Vero è che il film americano dovette affrontare numerose traversie, prima su tutte la minaccia da parte di Charles Laughton - qui in una interpretazione del Commissario francese incredibilmente dimessa e modesta - di abbandonare anzitempo il set, se il regista originale nonché produttore Irving Allen non fosse stato rimpiazzato. Tuttavia, sia per l'arbitrario stravolgimento della fonte letteraria sia per le fiacche e scialbe performance sia, soprattutto, per la greve ed ingiustificata invenzione dell'inseguimento finale in cima alla Torre Eiffel, il film non può godere di alcuna attenuante. Parentesi nella parentesi: qui in Italia, il film è stato recentemente distribuito in DVD dalla "Punto Zero", una casa editrice che sta letteralmente INFESTANDO il mercato dell'home-video con titoli tanto accattivanti dal punto di vista storico-cinematografico ("Il cineocchio", "L'uomo con la macchina da presa", "RX-M Destinazione Luna", "Il corridoio della paura", ecc.) quanto INDECENTI da quello qualitativo. Graffi, salti e scatti in abbondanza; audio pessimo, spesso fuori sincrono, se non addirittura assente; colori, quando contemplati, sbiaditi; contrasti tonali del tutto insoddisfacenti. Insomma, un vero e proprio schifo. "L'uomo della torre Eiffel" ovviamente non fa eccezione, e i 12,99 euro di listino rappresentano a tutti gli effetti un latrocinio. In guardia, dunque!
Ma torniamo a noi. "Una vita in gioco", a differenza dei suoi due predecessori, rende appieno giustizia al romanzo di Simenon (che l'autore, del resto, concepì appositamente per il cinema), realizzando una trasposizione fedele ma mai pedissequa del testo, rispettando i tempi "lenti e dilatati" dell'indagine, senza per questo risultare noiosa o prolissa, e soprattutto restituendo con maestria atmosfere e psicologie dei personaggi, che tanto rilievo hanno nelle opere dello scrittore belga. La trama è presto detta: il giovane Joseph Heurtin, inchiodato da un cumulo di indizi schiaccianti, sta per essere giustiziato per duplice omicidio, ma Maigret, per nulla convinto che un sempliciotto di tal fatta sia il responsabile dell'efferato misfatto, ne organizza la fuga dalla Santé con la recalcitrante "collaborazione" del giudice Coméliau. Il Commissario è ben conscio di mettere in gioco la propria carriera, ma c'è di mezzo, per l'appunto, "una vita", la "testa di un uomo". Inoltre Maigret è sicuro che Heurtin, una volta libero, lo condurrà dritto dritto dai veri colpevoli. Quando Heurtin si sottrae al pedinamento, però, le cose sembrano volgere al peggio, finché gli occhi inquieti e curiosi dell'evaso non rispuntano dietro i vetri opachi della "Coupole", un locale di Montparnasse frequentato da una variegata fauna cosmopolita. Tra gli avventori stranieri del "bar americano" ci sono William Crosby, "ricco" sfaccendato, nipote della donna della cui morte era stato accusato Heurtin, sua moglie, la sua amante Edna Reichberg, e il misteriosissimo cecoslovacco dai rossi capelli Jean Radek, ex studente di Medicina spiantato e geniale, che sfida il Commissario ad un "duello d'intelligenza"... Una "battaglia di nervi" (in Inghilterra il romanzo di Simenon è noto appunto come "A Battle of Nerves" o "Maigret's War of Nerves") che "Monsieur le Commissaire" perderebbe senz'ombra di dubbio, se non fosse per i copiosi indizi e aiuti che gli fornisce spontaneamente proprio Radek. L'enigmatico cèco, un personaggio dostoevskiano che architetta un "delitto perfetto" più per superbia intellettuale che per cupidigia di denaro (e dire che è letteralmente divorato dai morsi della fame), mette a nudo, qui come in nessun'altra inchiesta, tutta l'umana fallibilità di Maigret. A tutta prima, quello di prendere abbagli, commettere errori, o nutrire dubbi potrebbe apparire un "difetto" inconcepibile e inconciliabile con la professione del poliziotto (a tal proposito, nella sterminata produzione di Simenon, vengono in mente titoli illuminanti come "Maigret si sbaglia", "Maigret prende un granchio" o "Maigret ha paura"). E tuttavia questa apparente "anomalia" - unita ad una notevole dose di "pietas" di stampo classico, alla strenua ricerca di una giustizia che non infierisce sugli "innocenti dalle mani sporche", e al vivo desiderio di comprendere la mente criminale più che giudicarla - rendono il Commissario infinitamente più umano di altri grandi investigatori letterari.
Ecco cosa scriveva, agli inizi degli anni '30, Francesco Stocchetti sul "Corriere di Napoli" riguardo al papà di Maigret: "Giorgio Simenon è un umile, che guarda con occhi di umile, e quindi di bontà, con comprensione, con indulgenza addirittura (senza perciò lasciar sorgere il dubbio che si possa colpire impunemente) ogni delitto. E Maigret è non già preoccupato di punire semplicemente, ma che dalla punizione non nascano nuovi odii; che non si creino - attraverso le sanzioni della giustizia - degli spostati più dannosi di quello solo che ha compiuto il delitto. Si potrebbe perfino dire che quello di Simenon è un romanzo poliziesco un po' malinconico, che guarda con commiserazione i suoi protagonisti: tutta povera gente traviata per sempre, o per un attimo solo, dalla vita."
"Una vita in gioco", oltre a valersi della collaudata regia di Mario Landi, del puntuale e scrupoloso adattamento di Diego Fabbri e Romildo Craveri, dell'aderente e carismatica interpretazione di Cervi - elogiato in più di un'occasione dallo stesso Simenon -, può inoltre contare sulla strepitosa prova d'attore di Gian Maria Volonté (Radek), così giovane e già così irresistibilmente magnetico. Memorabile il suo quasi-monologo in apertura della terza puntata (cap. 12, 23° minuto): un quarto d'ora - dall'inattesa "apparizione" al Quai des Orfèvres, un'inspiegabile epifania al sentore di zolfo, sino all'altrettanto rapida e indecifrabile uscita di scena - che si vorrebbe protrarre "ad libitum"... L'astuta cordialità, le sibilline confidenze e gli ermetici indizi offerti a Maigret, gli sconcertanti e torbidi lampi che balenano d'improvviso dai suoi occhi cerchiati e malaticci, la rabbia a stento contenuta del genio incompreso... persino il modo di lacerare nervosamente la cartina delle sigarette con le unghie... La compenetrazione di Volonté col personaggio è totale e sopraffina...

"Una mentalità che sfugge a tutte le nostre classificazioni. Ed è per questo che non sarebbe mai stato molestato, se non avesse sentito l'oscuro bisogno di farsi prendere!" (Maigret parla di Radek)

P.S. Pare che un forum, qualche tempo fa, abbia postato l'intero sceneggiato... ecco il LINK.

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