venerdì 30 novembre 2007

Z'avez pas vu Ferrer ?


(Artwork by Il Corbaccio)

Il 1970 segna un punto di svolta nella carriera di Nino Ferrer. Dopo il trionfale biennio 1968-1969, costellato di enormi successi a 45 giri, il cantautore italo-francese decide improvvisamente di rientrare a Parigi, allontanandosi dal music-business (inciderà comunque una decina di dischi tra l'anno in questione e il 1993, prima nella Ville Lumière, quindi nel suo "buen retiro" di Montcuq). "Rats and Rolls", oltre ad essere uno dei rari live di Ferrer, riflette questo cambiamento di rotta. Pur essendo ancora fortemente imbevuto delle sonorità rhythm and blues tanto care al cantante, costituisce anche il suo primo concept album, con qualche sterzata in direzione del rock psichedelico (si ascoltino, in proposito, brani come "Fratelli e così sia" o "Canapa indiana"). Registrato al Sistina di Roma il 5 ottobre, "Rats and Rolls" vede un Ferrer in gran spolvero: accompagnato dal trascinante organo di Giorgio Giombolini, Nino si presenta sul palco a petto nudo, con una giacca di pelle nera (non poteva certo essere di camoscio marrone... lol...), qualche collana in stile "Flower-Power" e la sua moto Guzzi. Tra i 10 pezzi del concerto, da segnalare "O mangi questa minestra o salti dalla finestra", che dal vivo acquista una dimensione ancor più dissacratoria; la nerboruta, esplosiva e soavemente lunga versione di "La pelle nera" - dove il Nostro sfodera davvero una voce à la "Signor King, Signor Charles, Signor Brown" -; e l'appassionata e struggente "Pour oublier qu'on s'est aimé". "Povero Cristo" è la versione nostrana di "La maison près de la fontaine", "Fratelli e così sia" di "Les enfants de la patrie", mentre "Canapa indiana" quella di "Cannabis". Purtroppo, di questo raro spettacolo sono riuscito a scovare online soltanto un esemplare monco (cliccare QUI), cui mancano i primi due titoli, "Reminiscenza" e "Fratelli e così sia". Qualcuno li "ha visti" per caso? Li sto cercando dappertutto...

mercoledì 28 novembre 2007

Porta davvero fortuna?

Oh, Coccinella, tu mi sembri la più bella (Message in a Black Bottle)...


Ciao, ma petite chérie,



domenica scorsa, nel tardo pomeriggio, ho fatto una passeggiata in centro. Il cielo era terso e l'aria pulita e frizzante. Condizioni climatiche rarissime qui a M., soprattutto in un mese bigio e lugubre come novembre. Un caffè, due chiacchiere con Maria Grazia, che mi ha accompagnato, e poi - irresistibilmente attratto dai grandi manifesti promozionali appiccicati alla vetrina - mi sono fiondato nella libreria di Corso Duomo. Erano settimane che non ci mettevo piede ma, nonostante il tempo trascorso, i volumi esposti sugli scaffali erano rimasti pressappoco gli stessi. Le consuete edizioni dozzinali di titoli che, pur "tirati dietro" per due lire, uno non si prenderebbe la briga non dico di leggere, bensì di reggere in una sportina di cellophane fino al ritorno a casa. Tuttavia, tra tanto spreco di carta, qualcosa di papabile e gustoso sono riuscito a scovarlo: "Storie di mummie", un'antologia dei migliori racconti e romanzi sull'argomento scritti dai maestri della narrativa fantastica. Essendo edito dalla "Newton" nella collana "I Mammut", il tomo non è certo pregiato (carta scadente e grafica dozzinale), ma le pagine di letteratura che contiene sono davvero rimarchevoli. Inoltre, tra i tanti titoli presenti, figura anche "Il romanzo della mummia" di Théophile Gautier, che stavo cercando da parecchio. Potevo forse non pensarti? La mia mente - proprio come farebbe un archeologo con la protagonista assoluta dell'antologia, custode misteriosa e silenziosa dei segreti del passato - ha tolto le bende ai ricordi ed ha osservato, con meraviglia e melanconia al contempo, i drammatici effetti della vanità dei sentimenti. Quanti mesi sono trascorsi dal nostro primissimo incontro? Mah! Fammi fare due conti. Non sono bravo a memorizzare date e ricorrenze particolari, nemmeno quelle che dovrebbero essere più significative per me. Era il febbraio dello scorso anno, di questo sono sicuro. Ma sono altre le cose che s'incidono con più vigore nei "solchi" del mio cervello, e che sovente ronzano imperterriti ed ossessivi come un vecchio disco pieno di polvere che si sia incantato sul grammofono. I tuoi occhi azzurri e vispi, ad esempio. La pelle candida e abbacinante del tuo volto. Le tue gote arrossate dal freddo vento di fine inverno. Le tue adolescenziali trecce bionde. La tua bizzarra ed inconsueta parlantina, difficilmente riscontrabile nelle tue coetanee di questa maledetta ed ipocrita città (e infatti, mi è occorso un buon quarto d'ora - in virtù della tua perfetta padronanza dell'italiano - per capire che eri straniera). La tua effervescente curiosità, unita ad una contagiosa socievolezza. La tua giacchetta di pelle "vintage", stretta ed aderente; i tuoi guanti di lana tagliati à la clochard, con tutti i colori dell'arcobaleno...
Ecco, avrei dovuto scattarti la foto per il giornale così come mi ti sei parata innanzi quella sera, e poi "fuggir" via di corsa, lasciando il campo al tanto vituperato cruccio delle "occasioni mancate". E invece no. Già conquistato a mia insaputa, ho acceso una candela di speranza con la stessa leggerezza con la quale ci si accende una sigaretta, scatenando quell'incendio incontrollabile che mi spinge tuttora - dopo estasi, deliqui, esaltazioni, liti, furori, pentimenti e riconciliazioni - a scriverti in forma anonima dalle pagine virtuali di un blog. Ebbene sì, pur autocensurandomi, non rinuncio ad inviarti questo messaggio "nero e criptato", e per di più senza firma. Me lo consentono la moderna tecnologia e quel poco di pratica del linguaggio HTML che ho acquisito grazie alla frequentazione di Internet. In altri tempi, come puoi constatare dal titolo che ho dato a questo "post", avrei verosimilmente affidato i miei pensieri ad una bottiglia. Ma le probabilità che essi giungano al legittimo destinatario sono praticamente le stesse, forse addirittura inferiori. E questo nonostante i vari link, tag, motori di ricerca, parole-chiave, e via discorrendo. Siamo sul Web, no? Una tela che si va allargando ed intricando a dismisura di giorno in giorno...
Forse, codesto collegamento ipertestuale sarà già scomparso tra poche settimane, perché non avrò avuto la pazienza di aggiornare il blog, o lo avrò chiuso con un semplice click del mouse... Fosse altrettanto semplice riattizzare i carboni di un Amore apparentemente sopito! (Ancora mi illudo che tu mi abbia amato realmente: sono proprio uno stolto pervicace!)...
Magari, adesso avrai già un altro fidanzato col quale amoreggiare sotto il ponte Mirabeau... Pazienza! L'anno scorso ho fatto il possibile e l'impossibile per riabbracciarti. Ci sono riuscito con fiumi d'inchiostro e di lacrime. Oggi i tempi son cambiati... E non si tratta di una questione d'orgoglio, che ho già forzato e calpestato in più d'una occasione. Molto semplicemente, non potrei più permettermi un'ennesima deriva sentimentale...
Comunque, mancano soltanto due giorni al tuo 24mo compleanno, e a dispetto della mia succitata idiosincrasia per le ricorrenze, ho pensato bene di dedicarti una canzone allegra e spensierata, per ricordarmi di te nel migliore dei modi possibile e lasciarmi alle spalle, come immondizia trascinata dalle correnti di un fiume, tutto il male che ho patito...
So che l'immagine potrà apparirti un po' fosca ed inquietante, quasi da grand-guignol ottocentesco, ma questo è il mio modo di "mummificarti"...



Allora, Bon Anniversaire, Amore mio Ideale!



Keywords: "Chloé Gautier", Bagneux, 92220, Île-de-France, Paris, Cora, Apollinaire, Pont Mirabeau, Amour F(o)u, Je t'aime moi non plus


Le Pont Mirabeau

(Qui interpretata da un lettore d'eccezione)

Sous le pont Mirabeau coule la Seine / Et nos amours / Faut-il qu'il m'en souvienne / La joie venait toujours après la peine


Vienne la nuit sonne l'heure / Les jours s'en vont je demeure

Les mains dans les mains restons face à face / Tandis que sous / Le pont de nos bras passe / Des éternels regards l'onde si lasse

Vienne la nuit sonne l'heure / Les jours s'en vont je demeure

L'amour s'en va comme cette eau courante / L'amour s'en va / Comme la vie est lente / Et comme l'Espérance est violente

Vienne la nuit sonne l'heure / Les jours s'en vont je demeure

Passent les jours et passent les semaines / Ni temps passé / Ni les amours reviennent / Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Vienne la nuit sonne l'heure / Les jours s'en vont je demeure

martedì 27 novembre 2007

Alleluja-ya!!! Casco o aureola d'oro?


Qualche sera fa, grazie allo strepitoso blog del Vampiro Verdier(http://cverdier.blogspot.com/), ho scoperto che Caterina Caselli esordì al Cantagiro del 1965 con una cover degli Them di Van Morrison, Baby, Please Don't Go. Nonostante l'innovativa proposta musicale (o forse proprio a causa d'essa), la cantante sassolese, accompagnata dal suo gruppo Gli Amici, non vinse nemmeno una tappa. Ecco il testo della versione italiana del brano, intitolato Sono qui con voi:




Sono qui con voi, alleluja-ya

sono qui con voi

che felicità

io sono qui con voi, alleluja-ya

Siete qui con me, alleluja-ya

siete qui con me, tutti amici qui

cantate insieme a me alleluja-ya

Siamo amici noi, alleluja-ya

siamo amici noi

tutto il mondo lo sa

cos'è la gioventù, alleluja-ya


Siete qui con me, alleluja-ya

siete qui con me,

tutti amici qui

cantate assieme a me, alleluja-ya

Siamo amici noi, alleluja-ya

siamo amici noi

tutto il mondo lo sa

cos'è la gioventù, alleluja-ya


Se qualcuno c'è

che non canta con noi

per i fatti suoi

può anche andar


Sono qui con voi, alleluja-ya

sono qui con voi che felicità

io sono qui con voi alleluja-ya

Siete qui con me, alleluja-ya

siete qui con me, tutti amici qui

cantate insieme a me alleluja-ya

RaveOnEttes, It's a crazy feeling...


Un gruppo il cui nome racchiude, al contempo, le Ronettes ed uno dei brani più trascinanti di Buddy Holly. Una "pupa" col caschetto d'oro e gli occhi azzurri che assomiglia alla Nico dei Velvet ed inforca la chitarra come Eddie Cochran... e che per di più indossa la gonna! Tre accordi e tre minuti per ogni pezzo. Un rock'n'roll fresco, veloce, immediato, spontaneo, deliziosamente grezzo... Simile, insomma, a quello delle origini. È un piacere, dunque, poter annunciare l'imminente ritorno sul mercato discografico degli "old-fashioned" Raveonettes, il duo danese formato da Sune Rose Wagner (chitarra, voce) e Sharin Foo (basso, voce). Il loro quarto album - dopo l'EP Whip It On, Chain Gang of Love e Pretty in Black - si intitola Lust Lust Lust, contiene 12 tracce ed è distribuito dalla casa indipendente londinese Fierce Panda Records. Ecco la tracklist completa del disco: Aly Walk With Me, Hallucinations, Lust, Dead Sound, Black Satin, Blush, Expelled From Love, You Want The Candy, Blitzed, Sad Transmission, With My Eyes Closed, The Beat Dies. I Temi conduttori dell'opera? La lascivia e i desideri proibiti...
Per ora, ecco il singolo Dead Sound (LEGALMENTE scaricabile), la recensione che scrissi in occasione dell'uscita di Pretty in Black, e le foto che scattai al concerto tenuto dalla band all'Estragon di Bologna, nel settembre del 2005.







Arrifamolo Enzo!

Enzo G. Castellari e Quentin Tarantino alla 61ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, pochi minuti prima della proiezione di Quel maledetto treno blindato, il film del regista nostrano, datato 1977, di cui "Mr. Pulp" si appresta a girare un remake sui generis (photo by Federico).
Per maggiori informazioni sul progetto: http://it.wikipedia.org/wiki/Inglorious_Bastards%20Inglorious

In DVD il nuovo film di Tarantino, Grindhouse - Death Proof, “tanto polverone per nulla”. NEMMENO “SAN QUINTINO DEI B-MOVIES” È A PROVA DI NOIA


Più che tarantiniano, Grindhouse A prova di morte, è un film “tarantolato”: convulso, frenetico e senza costrutto, gira a vuoto su se stesso come uno degli spettacolari ma vacui testacoda della Dodge Charger di Stuntman Mike (Kurt Russell), lo psicopatico assassino protagonista della pellicola. D’accordo, la fotografia è impeccabile, le otto ragazze cui dà la caccia il misogino “serial-car-killer” sono tutte – o quasi – dei succulenti “bocconcini” (vedi, soprattutto, la figlia d’arte Sydney Tamiia Poitier e Rose McGowan), Kurt Russell si cala con disinvoltura nei panni ammaccati e sfregiati dell’attempato stuntman. Il film vanta, inoltre, alcuni dei più avvincenti inseguimenti automobilistici mai visti al cinema. Eppure, alla fine dei conti, si ha la deludente sensazione di aver assistito ad un onanistico esercizio di stile. E non ci riferiamo, naturalmente, alla totale assenza di trama, ché questo non costituirebbe nemmeno un difetto (comunque, la storia è presto detta: diviso in due parti speculari, A prova di morte narra gli incontri-scontri che due gruppi di “girls” fanno, in tempi successivi e con esiti opposti, con la sadica controfigura Mike, che si trastulla a pedinare e coinvolgere in catastrofici incidenti giovani bellezze sfaccendate e preferibilmente disinibite). Non sono nemmeno la sterile autoreferenzialità e l’immancabile, oltranzistico citazionismo cinefilo ad irritare, anche se francamente ci chiediamo quanti tra i fan ventenni di "Quentin-King-Of-Pulp" colgano gli omaggi alla Nouvelle Vague e a Brigitte Bardot, a Sam Peckinpah e Russ Meyer, riconoscano tra le note della colonna sonora quelle di Bernard Herrmann o dei nostri Donaggio e Morricone, o si accorgano delle continue strizzate d’occhio (e che strizzate!) ai poliziotteschi italiani anni ’70 (quelli di Di Leo, Lenzi e Castellari in testa). O, addirittura, individuino l’insolitamente lungo e narcisistico cameo del regista stesso (rassegnati, Quentin, i tuoi tratti fisionomici non hanno ancora la popolarità e la forza iconografica di quelli di un Hitchcock!). No – dicevamo – ciò che urta davvero sono gli elefantiaci, ipertrofici ed estenuanti dialoghi, quegli stessi dialoghi che in passato hanno decretato gran parte del successo del cineasta (ricordate l’esegesi di Like a Virgin di Madonna ne Le jene o la logorrea del sicario filosofeggiante di Pulp Fiction?). Bene, qui, gli interminabili scambi di battute, oltre ad essere improntati al consueto “sex, drugs and rock ‘n’ roll”, sono anche sciattamente e stancamente ripresi, per lo più con la macchina da presa fissa e piazzata frontalmente su chi parla. Le “donne-prede” cianciano e chiocciano, beate e scurrili, senza posa (dubitiamo, tuttavia, che la prosa tarantiniana si attagli al reale gergo delle burine texane). Discettano di stupefacenti, armi, bolidi a quattro ruote, cazzi, serie TV, e stratagemmi per impalmare uomini facoltosi: una nausea, tanto che, quasi quasi, si smania per la successiva apparizione di Stuntman Mike. Alla faccia di una “vendetta in rosa” o del post-femminismo timidamente enunciato dal regista! Intanto, però, gli irriducibili fan di Quentin esultano per la sua netta sterzata verso il “delirio narrativo”, il sesso ed il feticismo (in special modo quello per i piedi). Finalmente il film con la F maiuscola! Estremo, radicale, “senza protezioni” o, per restare in tema, senza cintura di sicurezza. Ma quando mai? Prendiamo, ad esempio, la morbosa passione per i piedi femminili: già era opinabile la scelta di decantare, sia in Pulp Fiction che in Kill Bill, la “bellezza” di quelle due tavole da surf che Uma Thurman si ritrova al posto delle estremità in questione (parliamo con cognizione di causa, avendole potute osservare di persona da un metro di distanza). Ancor più discutibile il fatto che possa eccitare in alcun modo osservare il povero Kurt Russell “costretto” a leccare i piedi asimmetrici, disarmonici e verosimilmente sozzi di una dormiente sciacquetta stravaccata sul sedile posteriore di un’auto. Quanto all’erotismo, poi, la scena che dovrebbe risultare più sexy, quella della lap-dance di Vanessa Ferlito, è “arrapante” quanto un giro di valzer di due settantenni in una balera romagnola. Un’altra parola va spesa sugli sperticati elogi che certi critici nostrani tributano a Tarantino per la presunta cura maniacale e filologicamente corretta con cui ha saputo ricostruire certi “sapori e atmosfere” dei cosiddetti film di serie B, mediante salti nella pellicola, immagini graffiate e sfuocate, e asincronismo (grazie al cielo, Tarantino non è Ghezzi, ma per sua sfortuna non è nemmeno Pudovkin…). Ma come? Qui si cade nel grottesco! Non sono forse loro quegli stessi individui che s’inalberano e gridano allo scandalo se per il riversamento su DVD di una pellicola “imprescindibile” come La soldatessa alle grandi manovre non viene utilizzato un master ineccepibile? O se nell’edizione digitale de La signora gioca bene a scopa? manca un solo fotogramma delle poppe di Edwige Fenech (con tutto il rispetto per le venerabili mammelle dell’attrice)? Sarà inutile, allora, ricordare che negli anni ’60 e ’70, quando saltava un rullo o le immagini prendevano a traballare, la platea indirizzava immantinente urla e fischi alla volta del proiezionista. Ma tant’è, al cospetto del “Cine-maniaco” per eccellenza non si può che genuflettersi. Al riguardo, citeremo una scena patetica cui assistemmo, basiti ed increduli, in un’imprecisata sera del 2004 alla Mostra del Cinema di Venezia, quando Quentin era il padrino della rassegna Italian Kings of the B’s. Ebbene, con largo anticipo sull’inizio del film in programma (quasi un quarto d’ora), una dolce ragazzina imbarazzata e trepidante, raccolte tutte le sue forze, si avvicinò al regista americano per chiedergli un autografo. Probabilmente in vena di cazzeggio, o più verosimilmente deciso ad improvvisare un dialogo “cool” in stile Samuel L. Jackson, il Nostro la liquidò così: “Ehi! Tu sei religiosa? Voglio dire, vai in Chiesa? Beh, allora, se vai in Chiesa, sai che non si disturba una persona mentre prega. Bene, per me il cinema è esattamente come una chiesa, il mio personale luogo di culto. Quindi, in questo momento, per te io sono un fedele che recita le sue orazioni”. E bravo il novello “reverendo Quintino da Knoxville, Tennessee”! Decisamente più “para” che “cool”, deve aver smarrito la proverbiale ironia con cui era solito stemperare le esplosioni di violenza e gli spargimenti di sangue dei suoi film più celebri. Difatti, anche A prova di morte risulta un’operina molto più sgangherata e traballante che divertente: sembra quasi una gallina da batteria che, bocciata dal pubblico statunitense (un flop terribile), sia stata gonfiata a dismisura con estrogeni simil-vintage per arrivare in tempo sulla passerella di Cannes prima, e in tutta Europa poi. Eh già, perché la pellicola circolata sui nostri schermi è la versione rimpolpata della seconda parte di un film a due firme, uscito negli USA col titolo di Grindhouse (termine che indicava quei cinema di quarta visione nei quali si proiettavano i double-feature, due film al prezzo di uno). L’originale è composto, appunto, da A prova di morte (Death Proof ), da un lungometraggio di Robert Rodriguez (Planet Terror), e da una serie di “falsi” trailer. Estrapolato dal suo contesto originario, A prova di morte è un film pletorico, prolisso e ridondante, zeppo di rimandi oscuri e pedanti. Restano la bella colonna sonora, l’incipit al fulmicotone con una delle ragazze che corre a perdifiato con le mani strette sulla vagina per non pisciarsi addosso, e l’incisivo inseguimento finale. Anche opportunamente riveduto e corretto, comunque, A prova di morte non potrebbe costituire nient’altro che l’ottimo making of di un action-movie senza azione. Un po’ poco per quello che qualcuno ha definito il nuovo Godard. Allora, consigliamo a Tarantino di portare dal meccanico la sua Dodge Charger, che qui ha sgommato e grippato alzando tanto polverone per nulla, e di percorrere strade più fertili di quelle texane. Quentin, “arridacce” un film come Jackie Brown! (M.G.)

Il "fiammeggiante" blues della buonanotte

Scaricatelo pure tranquillamente! Sia dal link che dalla coscienza, intendo, giacché il brano in questione non è protetto da copyright. Quindi, per questa notte, lasciatevi tranquillamente cullare dalla CALDA voce di Robert Johnson. Per forza, potrebbe obiettarmi qualcuno, se è vero come si dice che il grande bluesman avrebbe stretto un patto col diavolo...

P.S. Il titolo del pezzo vi ricorda niente?

Chi ha visto Aldo?

Ai più, il nome di Aldo Lado dirà ben poco. Eppure, nell'arco di meno di un lustro, dal 1971 al '75, questo misconosciuto regista e sceneggiatore italiano - che neppure la tardiva riscoperta del cosiddetto "cinema di genere" dei Seventies è riuscito completamente a ripescare dall'oblio (persino "quei bravi ragazzi" di Nocturno non gli hanno dedicato un intero allegato!) - ha sfornato tre sublimi pellicole: La corta notte delle bambole di vetro, un thriller claustrofobico e satanico dal forte sottotesto politico; Chi l’ha vista morire?, un giallo psicologico fitto e "denso" come la nebbia che avvolge le calli veneziane in cui è ambientato; e L'ultimo treno della notte, sadico "revenge-movie" di gran lunga superiore a quello che viene unanimemente considerato il suo modello, ossia L'ultima casa a sinistra di Wes Craven (impagabili, in tal senso, le interpretazioni di Flavio Bucci e Franco Fabrizi). Anche se il nostro Aldo, già aiuto di Bernardo Bertolucci per Il conformista, ha da tempo abbandonato la mdp (ora è un "insospettabile" produttore esecutivo), i suoi tre succitati film sono facilmente reperibili sia in vhs che in dvd (quantunque occorra rivolgersi al mercato estero per il supporto digitale de L'ultimo treno della notte). Lo stesso dicasi per le relative colonne sonore, tutte composte dal Maestro Ennio Morricone. Qui vi offro un assaggio della Soundtrack di Chi l'ha vista morire?, pubblicata da una meritoria etichetta nostrana, che ha scovato, in ottime condizioni, il master stereofonico dell'album originale. Si tratta della "title-track", interpretata, come le altre 9 tracce dell'album, da un coro di voci bianche. Le canzoni - i cui testi sono in parte popolari, in parte scritti da Maria Travia, moglie e musa del compositore - sono eseguite con una strumentazione moderna (batteria, chitarra elettrica, tastiere), e la loro dolcezza è volutamente contrapposta alla violenza degli efferati delitti descritti nel film... Consiglio caldamente l'acquisto del disco...
Ah, a proposito, ecco la sinossi della pellicola: "Due bambine coi capelli rossi, a distanza di quattro anni l'una dall'altra, vengono ammazzate nel medesimo luogo da un serial-killer in abiti femminili. Il padre dell'ultima piccola vittima (interpretato dal peggior 007 mai apparso sugli schermi, l'australiano George Lazenby) riesce a scoprire l'assassino dopo che molti degli indiziati sono periti di morte violenta..." Di culto la partecipazione di un giovane Alessandro Haber nel ruolo di Padre James...